Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
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Jan Fabre, Ai Weiwei ed ora Fischer. Negli ultimi tempi sta diventando sempre più conflittuale il rapporto tra l'arte contemporanea e la città che la ospita, Firenze: prima una tartaruga invase Piazza della Signoria, poi dei gommoni sbarcarono sul bugnato di Palazzo Strozzi; ora delle non precisate forme organiche ma metalliche hanno insudiciato il salotto dei Medici.
Risponderanno che l'arte contemporanea deve provocare, deve fare scalpore. Il contesto molto spesso fa la differenza: l'opera di Fischer in altri luoghi risaltava e faceva risaltare l'ambiente che la ospitava. Qui non è così. Qui stride soltanto e non entra in dialogo con la tradizione: è avulsa quasi come se fosse stata scaricata per sbaglio in Piazza della Signoria. Si tratta pur sempre della sede del potere cittadino: è questo lo specchio del potere? Basta spostarsi di poco per trovare un ottimo esempio di arte contemporanea perfettamente inserita nel contesto urbano: Pietrasanta, la piccola Atene, e le opere di Mitoraj.
Quando il sindaco Nardella parla di museo ammuffito non solo disconosce un passato glorioso ma in realtà critica una gestione della cultura che i suoi predecessori hanno portato avanti e che pure lui stesso non sembra voler cambiare. Si vuole dimostrare di essere contemporanei, di saper attirare artisti di grido, di essere al passo con i tempi e alla moda piuttosto che produrre arte.
Bisogna cambiare radicalmente: Firenze non ha industria, o meglio l'ha non più, Firenze ha la cultura. Fu capitale della cultura nel 1986: per prima fu Atene, poi l'Atene d'Italia. Da quell'anno tutto è rallentato, la città si è adagiata sulle bellezze del passato, si è imbolsita. La sua vocazione resta la cultura, ciò che manca è una politica seria della cultura che sappia fare di Firenze un polo di riferimento per il turismo culturale non solo per il turismo di massa.
Eppure molti artisti scelgono ancora Firenze come sede delle loro botteghe, non hanno nomi blasonati ma offrono spunti, riflessioni e percorsi nell'arte stimolanti. Sono Clet e Xhovalin Delia. Il primo già più conosciuto, bretone di nascita e fiorentino d'adozione, trasforma la segnaletica verticale con degli adesivi dalla spiccata ironia: non è raro che vi cada l'occhio sopra mentre si è imbottigliati nel traffico cittadino e che scappi una risata. Il secondo è ancora tutto da scoprire: ha uno studio affollato di quadri, dipinge con piccoli tocchi di pennello, dei quadratini che vanno a comporre un mosaico molto vivido dal quale si scorgono vedute di Firenze. Si aggiunga che non mancano spazi vuoti e degradati che potrebbero rigenerarsi ospitando delle opere di arte contemporanea: l'ex stazione Leopolda oppure l'area dove un tempo sorgeva la Seves ad esempio. A suo tempo si pensò di realizzare un museo per l'arte contemporanea nell'area industriale Galileo e Manetti a Rifredi ma la speculazione immobiliare fermò tutto. Sarebbe bello riuscire a portare la cultura non solo nel centro della città ma nelle aree degradate: l'arte che vivifica le periferie. Firenze deve tornare ad essere una capitale della produzione culturale, non solo una città vetrina.
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