Editoriale

L'Italia dei furbi e dei fessi

Male endemico e inemendabile a quanto pare) che non è guarito neppure con l'aumentare della ricchezza, figuriamoci ora che siamo tornati poveri!

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

orruzione è il tarlo della vocazione politica” – ha dichiarato Papa Francesco, durante il suo recente viaggio in Emilia Romagna, ricevendo – come ovvio – la sua brava bordata di applausi. I politici – si sa – non vanno per la maggiore tra l’opinione pubblica, facile perciò lanciare l’appello perché il Signore susciti “buoni politici che abbiano davvero a cuore la società" e "il bene comune", alimentando l’illusione/giustificazione che il marcio sia tutto lì, nelle stanze del potere.

In realtà non è così, come, praticamente ogni giorno, ci riferiscono le cronache del Bel Paese, impegnate a riferire – citiamo le “ultimissime” - di nutrite schiere di “chiarissimi” professori, arrestati ed indagati per “commercio di cariche accademiche”, di stimati infermieri colti a rubare medicinali da rivendere – a prezzo scontato – ai pazienti ospedalieri, di cittadini iscrittisi, senza averne titolo, tra le liste dei terremotati, per non parlare della lunga sequela di appalti truccati, evasioni fiscali, forniture taroccate, false fatturazioni, invalidità fasulle, assenteisti cronici.

La “mazzetta” ormai non serve più ad alimentare – magari come un tempo – i costosi apparati partitocratici, ma garantisce vite dorate ai corrotti ed ai corruttori, uniti dalla comune appartenenza al “partito dei furbi”.

Giuseppe Prezzolini, che dei nostri mali nazionali se ne intendeva, non a caso, quasi un secolo fa (nel suo Codice della vita italiana) distingueva i cittadini italiani in due categorie: i fessi ed i furbi. Scrive Prezzolini: “Non c’è una definizione di fesso. Però: se uno paga il biglietto intero in ferrovia; non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente sulla magistratura, nella pubblica istruzione, eccetera; non è massone o gesuita; dichiara all’agente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci, eccetera, questi è un fesso”.

Facile – a questo punto – individuare chi siano i “furbi”: quelli che evidentemente si comportano all’opposto, arrivando – nota sempre Prezzolini – a fare la figura di mandare avanti il Paese, pur non facendo nulla, spendendo e godendosela: del resto il furbo si interessa al problema della distribuzione della ricchezza, mentre il fesso a quello della produzione.

Di questa Italia-doppia è purtroppo disseminata la nostra Storia più o meno recente.

Agli inizi degli Anni Cinquanta del ‘900, don Luigi Sturzo, capo storico del Partito Popolare, ma emarginato dalla Democrazia Cristiana, che con il nuovo potere aveva dimostrato di trovarsi subito a suo agio, scriveva: “Quel che oggi rende critica la situazione è la mancanza di orientamento pratico verso la moralizzazione della vita pubblica”. E dopo avere elencato i centri dell’affarismo, sottolineava amaramente: “E’ mancata in tutto ciò la reazione morale. Il pubblico parla, mormora, ma non si fa sentire; le Camere osservano, notano, ma non si agitano; il Governo è premuto, ma non provvede, non inizia il risanamento, è paralizzato”.

Nel 1956, “L’Espresso”, rivista del radicalismo di sinistra, pubblicava un’ampia inchiesta, dal titolo “Capitale corrotta = Nazione infetta”, dedicata al dilagare della speculazione edilizia nella Roma postbellica. Faceva il paio con questa inchiesta la sistematica opera di denuncia, portata avanti, sul fronte politico-giornalistico opposto, da “il Borghese”, con i grandi servizi a firma Mario Tedeschi e Gianna Preda.

Al fondo l’idea prezzoliniana di un popolo abituato al piccolo inganno e alla corruzione, per fame e “sporcizia”, a cui purtroppo – a differenza di quanto sperava Prezzolini – l’aumento della ricchezza e l’acqua pulita non hanno portato l’auspicata “redenzione”.

La politica in tutto questo c’entra, ovviamente, senza tuttavia esaurire il quadro delle responsabilità. La questione è più sottile. Richiama il nostro “essere italiani”, facendo emergere il non sciolto rapporto tra cittadini e Stato, rapporto storicamente mal sopportato e segnato da una dilagante sfiducia. Si coniuga con una sorta di relativismo straccione, in cui l’etica è a misura degli interessi individuali. Offre della politica una visione “bassa”, tutta giocata sugli egoismi personali, di classe, di casta, accontentandosi di una visione formalistica della democrazia, dietro cui nascondere le sue debolezze strutturali, ma bene attenta a lasciare fuori dall’uscio l’ idea stessa di Stato etico, esempio di un’età oscura da demonizzare.

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