Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Matteo Salvini, che si erge a paladino della lotta contro il nuovo schiavismo, facendosi garante dei nuovi minimi salariali e dell’abolizione della legge Fornero sulle pensioni, e Silvio Berlusconi impegnato a sventolare la storica bandiera della “Rivoluzione liberale”, c’è spazio per una terza, organica via, in grado di enucleare, da destra, un’ originale proposta economica?
Nella misura in cui dirsi patrioti – come ha sottolineato Giorgia Meloni, durante il suo intervento conclusivo al II Congresso di Fratelli d’Italia – non significa sventolare l’orgoglio di un’appartenenza, quanto soprattutto declinare identità, prassi quotidiana e visioni di lungo periodo (quindi in grado di rispondere alle debolezze strutturali del Sistema-Italia), il campo economico e sociale è quello dove maggiormente si giocherà – anche nel centrodestra - la prossima sfida elettorale e la credibilità di chi ha l’ambizione di dare il proprio contributo decisivo alla trasformazione nazionale.
Da qui la necessità che, fuori dalle vecchie gabbie ideologiche e al di là di una scontata propaganda, sia necessario compiere un’attenta analisi di prospettiva, che non si limiti agli interventi congiunturali, ma che guardi ai mercati e ai più ampi assetti dell’economia come ad un fenomeno sociale complesso, nel quale entrano in gioco fattori diversi.
Proviamo a sintetizzarli. Al primo livello, quello politico, c’è la necessità di ritrovare il senso della sovranità, esautorata dal profitto globalizzato. Al secondo quello di introdurre nella vita economica i valori etici. Al fondo l’idea della “funzione sociale” della proprietà.
Da lì partono una serie di conseguenze economico-sociali e politico-culturali. Riconoscere la funzione sociale della proprietà significa superare finalmente certi “assoluti”, dando alla proprietà ruoli e compiti di portata generale. Vuole dire comprendere che esistono degli interessi nazionali a cui la singola azienda non può derogare, nella misura in cui la sua esistenza è fondata non solo sul diritto del proprietario, quanto anche sul lavoro dei suoi dipendenti, sul contesto sociale in cui opera, sul senso di una Storia e dunque sui contributi, materiali e spirituali, della comunità d’appartenenza.
Vuole dire operare in ragione del contemperamento degli interessi in campo, evitando di rinchiudersi nella mera difesa del “ diritto di godere e di disporre delle cose nella maniera più assoluta”, con i risultati che, oggi, sono bene evidenti a tutti: esasperate delocalizzazioni, cesura tra economia reale ed economia finanziaria, conseguente finanziarizzazione delle imprese industriali, perdita del valore del lavoro e della centralità del lavoratore.
Dire “funzione sociale” non significa allora trincerarsi dietro uno slogan ad effetto, ma andare al cuore della Grande Crisi, cercando di superarla veramente, richiamando ciascuno a fare il proprio dovere, senza perdere di vista la complessità della vita economica e sociale, la quale non può evidentemente essere rinchiusa nell’atomismo individuale, nella mera difesa degli interessi materiali del singolo, nell’utile immediato, portato di una visione assoluta della proprietà.
E’ certamente un problema culturale ed etico, ma non solo. E’ la capacità di guardare fuori dai ristretti ambiti aziendali, riacquisendo una visione “di sistema” , che perfino i maestri del liberismo economico non potevano negare, salvo poi delimitare la funzione dello Stato a quella di “cornice”, in quanto dispensatore di servizi e garante della sicurezza.
Rispetto a questi diversi “livelli” (politico, etico, sociale) c’è la necessità di immaginare interventi mirati, in grado di rendere evidente – nel concreto – una nuova sensibilità economica e sociale.
E allor c’è bisogno di piani d’azione (piano giovani, piano casa, piano povertà, piano famiglia), che fissino priorità e scadenze, le quali, preso atto delle diverse emergenze, indirizzino le risorse in modo chiaro. C’è bisogno di una mobilitazione generale dell’intero Paese (attraverso adeguati strumenti di rappresentanza) consapevoli che in gioco ci sono i più vasti destini nazionali, oltre che quelli economici e sociali di una parte. C’è bisogno di una nuova volontà politica in grado di coniugare Patria e Lavoro, com’è nella migliore tradizione della “destra all’italiana”. Oggi più che mai il vero patriottismo è sociale o non è.
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