Editoriale

Il ritorno dell'Imperatore, anzi dell'Impero

Prove tecniche per la rinascita dell'Austria - Ungheria? Potrebbe essere l'ultima speranza per l'Europa...

Luca  Costa

di Luca  Costa

do la scorsa settimana i principali media europei hanno riportato le congratulazioni ufficiali del primo ministro ungherese Viktor Orbán al nuovo esecutivo austriaco non ho potuto trattenermi: ho esultato. L’Austria-Ungheria ritorna. Il beato Carlo, il volto del vecchio Francesco Giuseppe, la corona di Santo Stefano…

 A un secolo dalla sua tragica dissoluzione, la Duplice sembra finalmente rinascere: non più sotto la forma imperiale (per ora), tuttavia qualche somiglianza c’è, almeno agli occhi dei nostalgici (come me).

A Budapest come a Vienna, governi conservatori fondano con decisione il proprio potere sui valori tradizionali di società ancora profondamente cattoliche, decise ad opporsi con decisione all’invasione migratoria in atto.

Così come nel 1683, l’Austria e l’Ungheria sollevano argini contro la marea islamica.

 Austria e Ungheria insieme, alla faccia di Bruxelles.

Già, Bruxelles, proprio lì il cancelliere federale austriaco Sebastian Kurz è dovuto recarsi, in tutta fretta, per rassicurare l’Unione sulla volontà di Vienna di non lasciare l’Europa. Bruxelles, vespaio di burocrati e moralisti ben-pensanti (o meglio non-pensanti) che tutti ci aspettavamo veder scoppiare in lacrime o strapparsi i capelli al grido di “al lupo! al lupo! torna l’estrema destra in Austria, Hitler torna!”.

E invece nulla, o quasi. Il teatrino di quindici anni fa, ai tempi della prima alleanza tra destre in Austria, non si è ripetuto. Niente tempeste mediatiche, niente sfilate “no pasaran!”, nessuno ha reclamato sanzioni ufficiali UE contro Vienna, come ai tempi dell’antifascismo da operetta del duo comique Chirac-Jospin.

 Cosa è cambiato?

Di acqua sotto i ponti (del Danubio) ne è passata parecchia, e l’Austria non è più sola, c’è Orban con lei. E non solo lui. Come se non bastasse, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, tutti popoli che un tempo componevano il mosaico dell’impero asburgico, rifiutano in blocco i diktat di Bruxelles (e Washington) in materia di immigrazione e “progresso”.

La Duplice è di nuovo unita, i rapporti di forza sono cambiati e il tempo della parodia del fascismo dei media è finito.

I popoli della Mitteleuropa hanno il coraggio di levare il capo e dire a voce alta ciò che i popoli d’occidente sono costretti a sussurrare o a mettere in atto nel segreto delle urne. Brexit, semi-débâcle elettorale della Merkel, crollo del PD in Italia, il coro è unanime: stop all’invasione, stop all’islam.

I territori del vecchio impero sono oggi il laboratorio politico dove tutte le questioni che scottano, ad ovest, vengono realmente affrontate, non da un punto di vista meramente ideologico, bensì ascoltando attentamente i bisogni dei popoli.

 

L’est neo-asburgico e l’ovest liberal-progressista, ancora una volta due blocchi che si affrontano, due visioni del potere irrimediabilmente incompatibili. Inconciliabili.

Da un lato la difesa delle tradizioni e degli interessi delle nazioni. Dall’altro un progetto di Stati Uniti d’Europa, una nuova torre di Babele senza memoria, senza storia, senza identità e soprattutto senza Cristianesimo.  Un progetto nel segno della sottomissione permanente agli Stati Uniti d’America.

 

Vienna, Budapest, Praga, Bratislava, Varsavia, hanno mostrato coraggio: il coraggio di ricordare al mondo che un governo deve rappresentare in primo luogo il volto istituzionale e gli interessi del proprio popolo. Il coraggio di difendere il popolo dai capricci di élites egoiste e senza radici. Il coraggio di riproporre una visione del potere tramontata un secolo fa, al termine di quello che Benedetto XV definì con straordinaria lucidità il suicidio dell’Europa civile.

Quell’Europa civile che aveva nell’impero Austro-Ungarico la sua stella più luminosa. Viva l’Austria-Ungheria!

 

 

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