Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Quarantotto ore per tornare nei ranghi. Ecco il triplice avvertimento di Francia, Germania e Commissione Junker alla Polonia. Altrimenti, un’inedita procedura di sanzioni sarà varata in base al famigerato articolo VII del trattato di Lisbona, contro le riforme costituzionali del Partito Diritto e Giustizia guidato da Jaroslav Kaczynski, al potere dal 2015.
La tesi di Bruxelles conta sull’appoggio di 22 paesi dell’Unione: "esiste un chiaro rischio di violazione grave delle norme europee".
In sostanza, la Polonia è sotto accusa a causa di una riforma che mira a riportare la magistratura del paese sotto controllo del Ministero della giustizia e del Parlamento: nomine, carriera, sanzioni, pensioni. Il testo, già approvato alla Camera, attende solo il semaforo verde del Senato (dato per scontato) e la firma del presidente della repubblica Andrzej Duda.
Nella trincea opposta, l’articolo VII del trattato di Lisbona, volto a garantire il rispetto della democrazia e la separazione dei poteri all’interno delle frontiere europee.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha già dichiarato il suo pieno appoggio alle sanzioni, la Merkel ha già annunciato il “nessuna pietà”.
Il presidente Duda sembra essere in difficoltà. Una prima riforma della giustizia è già stata bocciata in ragione di un suo veto, ma ora sembra difficile prevedere un nuovo stop presidenziale poiché lo stesso Duda ha partecipato in prima persona alla stesura del nuovo testo messo, ancora una volta, all’indice dall’Unione europea.
Per quanto riguarda la più severa delle pene possibili in base all’articolo VII, la privazione del diritto di voto in tutte le decisioni del Consiglio d’Europa, è necessaria l’unanimità dei 28 paesi membri. Tale eventualità appare assolutamente irrealizzabile, dal momento che il presidente ungherese Viktor Orban ha già anticipato il suo veto alle sanzioni contro Varsavia.
Di fronte a una situazione così scottante, una domanda appare necessaria e urgente: la Polonia ha veramente messo in pericolo il proprio Stato di diritto e la democrazia, oppure le accuse non sono che un abuso di potere dell’Ue per punire un paese che cerca di riappropriarsi della propria sovranità contro lo strapotere della casta giudiziaria?
Da ormai due anni, la Polonia è divenuta il simbolo “male assoluto” all’interno dell’Unione europea. Appare comunque grave la decisione del 20 dicembre di ricorre all’articolo VII, a pochi giorni dalla nomina di un nuovo Primo Ministro, Mateusz Jakub Morawiecki .
Ma che ha fatto di male la Polonia?
Ha forse deciso di attuare una politica energetica che rischia di metter in pericolo l’intera Europa centrale? No, è la Germania che lo ha fatto. Forse da anni la Polonia se ne infischia dei parametri di Maastricht e annuncia, per il 2018, un nuovo record di indebitamento? No, quella è la Francia.
Eppure, è proprio la Polonia a vedersi minacciata, per la prima volta nella storia dell’Unione europea, a subire le sanzioni dell’articolo VII…
I diktat di Bruxelles a Varsavia
La Commissione europea si è detta preoccupata "in seguito alle riforme della giustizia polacca, che mettono il potere giudiziario del paese sotto il controllo diretto della maggioranza al potere". Mercoledì 20 dicembre, la stessa Commissione ha definito 5 misure che Varsavia dovrà adottare al fine di evitare le sanzioni.
1: modificare la legge sulla Corte suprema, sopprimendo l’abbassamento a 65 anni dell’età pensionabile dei giudici attualmente in carica. Da sopprimere anche il potere del Presidente della Repubblica circa il rinnovamento del mandato dei giudici della suddetta Corte.
2: Modificare la riforma del Consiglio nazionale della magistratura e conservare il regime attuale, che prevede l’elezione dei giudici membri da parte della magistratura stessa.
Si tratta di un punto molto delicato, perché il governo polacco mira a creare un controllo parlamentare sul CSM, ovvero ad attribuire all’Assemblea nazionale il potere di nominare i membri del CSM, fino a un numero massimo di 9 per partito (almeno 1 membro per i partiti meno rappresentati). I giudici nominati dai vari partiti dovranno infine ottenere l’approvazione, a maggioranza dei 3/5 , dell’Assemblea parlamentare.
Secondo l’UE si tratta di una “violazione dello Stato di diritto”, nel senso che l’indipendenza della magistratura viene sensibilmente diminuita. Tuttavia, accusando la Polonia la Commissione europea dimentica che il principio dell’indipendenza della magistratura è da intendere nei confronti dell’esecutivo, e non del popolo e dei suoi rappresentanti.
Rendere un organo come il CSM (il giudice dei giudici) una élite suprema in grado di auto-riprodursi a piacimento, senza alcun legame con la nazione, non è in realtà molto meno democratico di una procedura pluralista filtrata dal parlamento? La tecnocrazia delle toghe è davvero preferibile ad un controllo parlamentare?
Bruxelles dovrebbe spiegarsi su questo punto, ma non lo fa.
3: Abrogare la parte della riforma che prevede il potere del Ministro della Giustizia di rinnovare il mandato dei giudici e di nominare o revocare i presidenti dei tribunali.
La riforma prevede anche che i processi siano affidati ai giudici per estrazione a sorte, altro punto contestato dalla Commissione europea.
4: ristabilire l’indipendenza della Corte Costituzionale e le modalità di elezione dei suoi membri.
5: astenersi da atti e dichiarazioni pubbliche volte a delegittimare il potere giudiziario.
In breve, l’Unione europea impone a rappresentanti democraticamente eletti di un popolo sovrano di non parlare della giustizia del paese. Non sembra molto democratico. Un rappresentante del popolo polacco che ritiene vi sia un problema nel sistema giudiziario non può parlarne pubblicamente altrimenti l’UE minaccia sanzioni…
Varsavia afferma che il diktat della Commissione lede la sovranità del popolo polacco. La Commissione ritiene invece che siano misure necessarie per tutelare lo Stato di diritto all’interno dell’unione.
Perché la Polonia?
Per provare a rispondere occorre precisare alcuni fatti.
1. Il dossier polacco è in mano ad un certo Frans Timmermans, vice-presidente della Commissione europea. Ora, Timmermans è un ex-deputato liberal-socialista olandese, membro di un partito che in patria non ha mai preso più del 5,7% dei voti. Timmermans è stato nominato vice-presidente della Commissione, ovvero non è mai stato eletto da nessuno. Da quando è iniziato il suo attacco alla riforma della giustizia polacca, Timmermans brandisce senza sosta gli argomenti dei partiti liberal-progressisti (la sinistra) attualmente all’opposizione in Polonia, cioè gli argomenti dei partiti che il popolo polacco NON ha voluto al governo. Inoltre, il leader del principale partito di opposizione in Polonia è Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, nonché amico personale e sponsor di Timmermans a Bruxelles…
2. Il duo Timmermans - Tusk avrebbe potuto condurre la Polonia di fronte alla Corte di Giustizia dell’UE (CGUE), che per sanzionare uno stato non ha bisogno del consenso unanime degli Stati membri. Perché non lo ha fatto? Perché preferire la via delle minacce ex-art. VII pur sapendo che il veto di Budapest è più che scontato (Orban lo ha già annunciato pubblicamente)? L’unico punto della riforma per il quale è stata allertata la CGUE è la “discriminazione” per i magistrati donna che sarebbero chiamati ad andare in pensione a 60 e non a 65 anni.
3. Da mesi in Polonia si discute di difesa della vita. Vietare l’aborto? Limitarlo al massimo? Riformare la legge? Il governo conservatore sta cercando una soluzione. Vi sono state manifestazioni di protesta, ma molto contenute. Non è facile tastare il polso di un popolo circa un tema così delicato, d’altronde è un affare che riguarda la Polonia stessa. Di certo i media occidentali liberal (LeMonde, Repubblica, etc.) non hanno esitato ad etichettare il governo conservatore di Varsavia come il male assoluto. Non è assurdo pensare che Bruxelles possa far leva sulla sola istituzione non democraticamente eletta del paese per imporre la sua visione ideologica: la magistratura. Una magistratura che, se riformata e messa sotto il controllo del parlamento (cioè del popolo), non potrebbe più fungere da braccio armato della tecnocrazia UE-Nato (come già accade in tutti i paesi dell’ovest del continente, Italia compresa).
Negli ultimi tre secoli la Polonia è sopravvissuta a tutti gli imperi, a tutti i totalitarismi che hanno cercato di sottometterla. Ad intervalli, nel XVIII e nel XX secolo essa ha perfino perso la sua sovranità senza tuttavia perdere la sua identità di grande nazione cattolica. Così, oggi la Polonia vive mentre gli imperi e i regimi che pretendevano cancellarla dalla storia sono scomparsi.
Oggi la Polonia è ancora minacciata dalla tecnocrazia liberale europea. Parigi, Bruxelles e Berlino sperano che stavolta Varsavia chini sommessamente il capo.
Scommettiamo che resteranno delusi?
fonti:
LeFigaro: Patrick Edery: UE-Pologne, un déni de démocratie?
LeFigaro: l’UE lance un ultimatum à la Pologne
Inserito da Angelo il 14/04/2018 22:36:50
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Inserito da WPolska il 29/12/2017 18:27:23
Complimenti, apprezzo molto l'analisi della situazione polacca nei confronti di una UE che vorrebbe ridurre il paese ad un inutile zerbino come, purtroppo, ha fatto in molti casi per l'Italia.
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