Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
lass="Normal">Il numero 4 non porta fortuna a Renzi, che in quel giorno di dicembre e in questo di marzo ha subito sconfitte pesantissime. Vista l’inaffidabilità di sue precedenti dichiarazioni, non sappiamo se e per quanto tempo abbandonerà la ribalta, ma per ora ci sembra destinato a uscire dalla luce dei riflettori (qualcuno ha esteso l’ipotesi della sua eventuale scomparsa a quella del PD: vedremo). Comunque, fatta questa premessa, mentre non abbiamo ancora i risultati definitivi, ma è chiara già da ieri notte la tendenza dell’elettorato, azzardiamo qualche considerazione su questa importante consultazione elettorale.
Chi ha vinto? Chi ha perso? E perché? Chi andrà al Governo? Al primo e al secondo quesito è facile rispondere: i commentatori sono tutti d’accordo nell’individuare nel Movimento 5 Stelle e nella Lega – e, ovviamente, nei rispettivi leader – i vincitori; il ruolo di sconfitti tocca altrettanto incontestabilmente al Partito Democratico e a Forza Italia. Per inciso, faremo appena notare come l’escamotage della coalizione si sia rivelato tutt’altro che determinante ai fini del successo di questa o quella forza politica: né chi ha deciso di presentarsi da solo (M5S) né chi ha optato per la coalizione (centrodestra e centrosinistra) ha raggiunto la maggioranza dei seggi in Parlamento. Ne deriva che il prossimo Governo si baserà su maggioranze variabili – in funzione dei punti programmatici sui quali vi sarà convergenza dei vari attori politici – o che si sarà indotti a scegliere la via del Governo di minoranza (che accentuerebbe la precarietà e l’instabilità del quadro politico).
Un fatto è certo: il risultato elettorale ha determinato la chiusura di una lunga fase, aperta sotto il segno del bipolarismo, proseguita sotto quello del tripolarismo, e ora, complice un sistema elettorale semi-proporzionale, tendente ad un inedito, apparente nuovo bipolarismo. Durante la campagna – ma non solo – si è da più parti lamentata la mancanza di visione di tutti i contendenti, impegnati quasi esclusivamente a promettere l’irrealizzabile, sotto forma di elargizioni dallo smunto Bilancio dello Stato (reddito di cittadinanza, aumento delle pensioni minime, sussidi alle famiglie, tassa piatta, ma anche rimpatrio dei troppi immigrati illegali).
Si aggiunga che mai come stavolta, specialmente al Sud, hanno agito fattori preoccupanti. Se il voto dei “vecchi” è andato al Partito Democratico e a Forza Italia, l’orientamento dei “giovani”, specie in quelle regioni, sembra infatti essersi diviso fra l’astensione e la scelta di chi, se non altro, prometteva un reddito di cittadinanza in qualche modo sostitutivo di quello da lavoro, cioè i 5 Stelle. Così nei territori più devastati dalla crisi occupazionale – altro che i numeri spacciati dal Governo Gentiloni-Renzi! – quel Movimento ha raggiunto anche il 60% dei consensi, realizzando il famoso “cappotto”, ad esempio, in Sicilia. Le recenti indagini statistiche e demoscopiche parlavano di un popolo caratterizzato da rancore e invidia sociale: nel Meridione, questi potenti fattori della storia sembrano aver prevalso ancora una volta, ma stavolta a favore di un soggetto politico “nuovo”.
Dicevamo della mancanza di progettualità da parte di tutti gli attori politici: eppure, il sottotesto di quelle promesse delineava visioni della società italiana decisamente contrastanti fra loro, e a nostro avviso è in quel sottotesto che va ricerca la spiegazione di vittorie e sconfitte. Premesso che la percentuale delle astensioni sembra essersi stabilizzata su livelli “normali” per i cosiddetti paesi “democratici” (intorno al 25%), se si guarda all’identikit dell’elettore dei vari partiti, si scopre che è andata formandosi una maggioranza soprattutto sul fronte della “contrarietà”. Precisiamo che nel calcolo vanno compresi anche quei voti finiti a formazioni marginali – quelle poco sopra o poco sotto l’uno per cento – quali, ad esempio, “Potere al popolo”, da un lato, e “Casa Pound” e “Fronte Nazionale” dall’altro, che, in termini di critica all’establishment europeo e nazionale, trovano i loro alfieri proprio nel Movimento 5 Stelle, nella Lega e in Fratelli d’Italia. Recupero di sovranità; ostilità verso la globalizzazione selvaggia e, in generale, verso l’immigrazione incontrollata e il mondo della finanza senza regole, delle banche e della burocrazia, tanto europea quanto italiana; attenzione al dato sociale, ad una più equa distribuzione della ricchezza prodotta, alla base familiare e, nel campo dell’economia, alle piccole e medie imprese: questi sono i tratti comuni a Lega e Movimenti 5 Stelle, sulla scia dei quali ha faticato a collocarsi Forza Italia (e che ha apertamente disconosciuto il Partito Democratico), già in crisi di credibilità dall’epoca del Nazareno, i cui fantasmi ancora si agitavano in questa campagna elettorale, con i risultati che si son visti.
Di passata, diremo che fra gli sconfitti vanno annoverati Confindustria e CEI (ma forse dovremmo dire, tout court, la Chiesa di Bergoglio, in crisi di vocazioni e capace sempre meno di riempire le chiese italiane, proprio come si sono dimostrati incapaci di riempire le piazze i partiti perdenti).
Discorso a parte meriterebbero i Sindacati: qui ci limitiamo a rilevare come alcuni temi comuni alla CGIL ed alla UGL, in primis l’esigenza di eliminare/modificare radicalmente provvedimenti come il Job’s Act, la legge Fornero e la “Buona Scuola”, trovano nella stessa trincea anche Lega, Fratelli d’Italia e Movimento 5 Stelle. Crediamo che tali convergenze finiranno col pesare quando, ancor prima che il Presidente Mattarella conferisca l’incarico di formare il nuovo Governo, si tratterà di eleggere i Presidenti di Camera e Senato e, magari, di redigere il documento di programmazione economica e finanziaria (il prossimo mese di aprile).
Maggioranza populista? Se è vero, come più d’uno ha dichiarato, che non è questo il momento delle sfumature, ci troviamo di fronte ad una svolta epocale. Come reagiranno l’Unione Europea e tutti i “poteri forti” internazionali (FMI, BCE, i mercati in genere) e nazionali (Magistratura, dai TAR alla Consulta, Ragioneria dello Stato, apparato burocratico) non è difficile prevedere, in termini di ostacoli di ogni genere e natura sul cammino delle nuove forze politiche alla ribalta; al punto che è consigliabile la vigilanza nei pochi mass media disponibili e, soprattutto, la formazione o il rafforzamento di organismi modello “Visegrad”, proprio per scongiurare trappole e colpi di mano, sul tipo di quello ordito e mandato a effetto nel 2011.
Quanto alla questione del leader, mentre sarebbe sorprendente un coinvolgimento del Partito Democratico, clamorosamente in perdita di consensi, non meno problematica appare la soluzione di un’alleanza “M5S” e Lega, con il leader di quest’ultima forzatamente in subordine a Di Maio, in virtù dei numeri. Si adatterà Salvini, resuscitatore della screditata Lega di Bossi? Cederà qualcosa Di Maio, che appare ancora diviso tra una certa immagine democristiana e l’ombra di Grillo/Casaleggio?
Per ora ci fermiamo, ma sarà inevitabile tornare in argomento, via via che si definiranno dati e flussi.
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