Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
re il Mediterraneo torna a indossare le vesti lugubri di “mare dei morti”, che aveva dismesso dopo millenni di naufragi, guerre, migrazioni e commerci – altro che immiserirci nelle critiche a questo o quel governo italiano! – la questione “migranti” continua ad agitare le Cancellerie del Continente e a turbare le coscienze degli europei, specie di quelli che si affacciano su questa liquida culla delle civiltà.
Sui flussi migratori ci siamo espressi più volte su queste colonne, ma vale la pena di tornarci, per cercare d’individuare alcuni punti-chiave, con una prospettiva di più ampio respiro, rispetto a quelle adoperate per le polemiche di bottega.
Cominciamo col dire che c’è emigrazione ed emigrazione, ed è fuorviante (malafede a parte…) ricordare che il nostro è stato un paese di emigranti, o magari fare riferimento alle prime ondate migratorie, che si riversarono specialmente sulla Puglia, dalle coste dell’Albania. Chi lo fa, dimentica le differenze di spazi e di culture, e dunque sottovaluta il grado di compatibilità e le difficoltà d’integrazione dell’immigrato con i popoli e la terra di destinazione. Né vale il paragone con paesi come il Libano, “accogliente” per forza di cose geopolitiche e comunque “allenato” da decenni di emergenze non solo belliche.
Non dovrebbe neppure essere necessario, nel dibattito pubblico, ricordare gli spazi sconfinati da ripopolare negli Stati Uniti, nell’America Latina, in Australia, mete della nostra emigrazione nei primi decenni del Novecento; e dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti l’estensione e la natura del nostro territorio, pari a circa la metà di quello di Francia e Spagna, e per di più occupato per un terzo da catene montuose che ne limitano l’abitabilità.
Non parliamo delle differenze culturali, che rendono problematica l’integrazione di popolazioni portatrici di valori lontani dai nostri e spesso con questi inconciliabili: quello che è stato possibile per i nostri emigranti e perfino per i migranti dell’est europeo, appare infatti di difficile realizzazione soprattutto per le masse provenienti dall’Africa e caratterizzate da una forte adesione a religioni – in primis l’islamismo contaminato da usanze locali, e poi l’animismo – difficilmente conciliabili con usi, costumi e leggi della nostra Repubblica.
Diverso è il caso dei flussi migratori provenienti dall’Asia e che vantano già decenni di storia anche nella nostra Italia, che pure mai ebbe colonie in quel continente: esistono infatti comunità filippine e cinesi, bengalesi e pakistane, che hanno dimostrato non solo capacità d’integrarsi utilmente nel tessuto produttivo del paese ospitante, ma anche una riservata riluttanza, nel rispetto di leggi e costumi altrui, ad essere assimilati (perfino con matrimoni misti, che sono molto rari all’interno di queste comunità).
Si aggiungano, alla spicciolata, altri argomenti, quali: il danno arrecato alle possibilità di sviluppo dei paesi africani, privati, in virtù di questi flussi, della parte più vitale e intraprendente del proprio popolo; il ruolo decisivo della criminalità organizzata internazionale nell’organizzazione di questi che spesso sono veri e propri traffici schiavistici; lo sfruttamento di questa manodopera a basso costo da parte di imprese senza scrupoli, a danno dei lavoratori regolari, nazionali e non e a fronte di una sostanziale inerzia sindacale, soprattutto delle sigle maggiori; la clamorosa insufficienza di iniziative e istituzioni votate all’integrazione delle masse d’immigrati che, dopo le note lungaggini per accertarne il diritto di permanenza in Italia, dovrebbero essere avviate su percorsi lavorativi; i costi sostenuti dal nostro sistema paese, per consentire agli stessi, fra l’altro, l’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria (altro che pensioni pagate a noi dagli immigrati!); la pericolosità di queste masse sradicate, per lo più senza famiglia, senza occupazione (ricordiamo i nostri indici di disoccupazione, specie giovanili), spesso senza fissa dimora; gli inevitabili episodi d’intolleranza, specie fra le classi di nostri connazionali più disagiati, con le periferie costrette al coprifuoco e in balia di lupi di varia natura (dagli spacciatori agli sbandati, dagli occupanti di case popolari ai rapinatori), altrettante micce pronte a innescare guerre fra poveri.
Il governo attuale viene accusato d’insensibilità, di fronte allo spettacolo – troppo spesso inscenato ad arte, sfruttando le autentiche tragedie a scopo di bassa polemica politica – di innocenti annegati; come se questi annegamenti non si fossero verificati anche sotto altri governi di vario colore, negli ultimi lustri. Il fatto è che se il caso singolo non può che muovere a pietà, la moltiplicazione massiccia di questi casi assume rilevanza politica e richiede doti diverse dalla compassione. Un governo deve adottare misure atte se non a eliminare, almeno a governare questa che, da tempo, non è solo e non è più un’emergenza, e deve farlo tenendo presente gli interessi e perfino le percezioni di coloro che l’hanno mandato a governare.
Il problema migratorio richiede provvedimenti di ordine immediato e altri di più ampio respiro: per questi ultimi, può essere interessante l’esempio che sta fornendo la Cina, che in Africa già da molto tempo ha investito ingenti somme e inviato un milione di tecnici, amministratori, imprenditori, in una sorta di “piano Marshall” le cui finalità ultime, invero, sono ancora da chiarire, ma che intanto sta allestendo infrastrutture imponenti ed avviando iniziative produttive – e pedagogiche – per quel continente. Il problema è che, a differenza della Cina, l’Unione Europea, che sola avrebbe risorse e capacità per varare un suo piano Marshall, non esiste come soggetto unitario…
Quanto alle misure immediate, non si può tollerare questa nuova, singolare versione di schiavismo, che riceve l’appoggio – certo in buona fede… - di alcune forze politiche, delle ong e della stessa Chiesa. Le mafie vanno combattute in tutte le loro manifestazioni e attività, e questa dei flussi migratori è diventata – a detta di chi aveva le mani in pasta – un business più lucroso del traffico di droga. Le limitazioni fin qui applicate dai ministri Minniti prima, Salvini poi, vanno nella direzione giusta: accordi con i paesi di provenienza, varo di un codice di comportamento prima e poi chiusura dei nostri porti alle ong, conferma dell’appoggio alla Libia, punto di partenza di quei flussi.
Questo il quadro, nelle grandi linee. Certo, sia per il lungo termine che per il breve, è indispensabile allestire un fronte multinazionale, che da un lato salvi ed accolga, dall’altro rimpatri e reprima, se del caso utilizzando lo strumento militare e, soprattutto, modificando i trattati in vigore, non più rispondenti alla mutata situazione. Sarà questo il compito principale del nostro governo, e sarà anche il suo più difficile e importante banco di prova.
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