Editoriale

La sinistra che non c’è più

Analisi di un fallimento a livello planetario.

Luca  Costa

di Luca  Costa

inistra, ovunque, dagli Stati Uniti all’occidente europeo, ha smesso di fare politica per impantanarsi in un confuso apostolato dei diritti individuali e delle minoranze (razziali, sessuali, religiose, etc.) che non convince gli elettori.

 La deriva nasce proprio in seno al Partito Democratico americano. Quest’ultimo, nonostante la pesante sconfitta contro Trump, tiene ancora saldamente le redini delle università, dei media, della magistratura progressista e della CIA, aggravando così la frattura tra popolo e élites.

In Europa stiamo assistendo allo stesso fenomeno: sinistre sempre più distanti dai reali bisogni del popolo (sicurezza e lavoro) e impegnate in crociate ideologiche in nome di sedicenti diritti dell’uomo. Battaglie volte a dissolvere nel nulla le varie identità nazionali e le relative civiltà.

 La sinistra, dimenticando i temi del lavoro, della famiglia e dello stato sociale, ha abdicato dalle proprie responsabilità politiche, tagliando di netto ogni cordone ombelicale con le analisi di Karl Marx.

In occidente, il DNA della sinistra non è più marxista ma liberal-progressista. Si tratta di un giro di boa che ha del clamoroso: Marx aveva scommesso tutto sulla questione dei rapporti materiali delle società: una volta domata la borghesia (il mercato) e risolte le questioni legate alle trasformazioni produttive e alla ripartizione delle risorse l’umanità avrebbe risolto tutti i suoi problemi.

Oggi la sinistra è impegnata a svuotare di ogni autorità tutti gli strati intermedi della società (nazione, chiesa, famiglia, scuola) capaci di separare gli individui dal mercato, cioè dalla soddisfazione dei propri capricci individuali.

La questione sociale, il lavoro e la sua la precarietà, potere d’acquisto delle famiglie? Robba passata per i sinistroidi del XXI secolo.

Dopotutto, non è più Mosca a dettare l’agenda bensì i vespai ideologici del New England e della California. L’ultra-liberalismo non è più il nemico, è il traguardo da raggiungere. Non c’è da stupirsi allora che le vittime di questo ultra-liberalismo non votino più a sinistra e si rivolgano altrove, spesso dalla parte opposta dello schieramento politico: i cosiddetti “populisti”.

 Questa nuova tendenza pseudo-politica ha infettato tutta la sinistra: dai neo-comunisti agli ecologisti, dai social-democratici ai socialisti. Tutti. Nessuno si stupisce più quando rappresentanti ecologisti e comunisti starnazzano all’unisono in favore dell’immigrazione di massa o dei diritti gay, nonostante nessuno dei due temi riguardi né l’ecologismo né il marxismo.

 Negli Stati Uniti la vittoria di Trump contro Hillary Clinton si prepara da più di trent’anni, da quando il Partito Democratico ha smesso di occuparsi dei problemi dell’America profonda, la parte centrale del paese, vasto territorio  ultra-repubblicano dove in certi Stati sono letteralmente scomparse le sedi del  Partito Democratico. Se il PD ha abbandonato tali Stati è perché tali Stati non esistono più per un partito che non ha più nulla da dire all’uomo bianco, protestante, padre di famiglia e operaio o contadino…se non augurargli di scomparire a breve termine dalla faccia della terra o di sprofondare nella precarietà e nella povertà che merita una classe sociale ormai etichettata dai liberal come razzista o fondamentalista cristiana.

 

C’è un’evidente analogia tra l’America profonda trumpista, l’Inghilterra del Brexit, la France périphérique che vota Front National e l’Italia di Salvini. I popoli e le nazioni non vogliono scomparire, ci sono modi di vivere che hanno impiegato secoli per costruirsi e vedere i propri bisogni riconosciuti dal potere, che ora non accettano l’estinzione.

In Europa come negli USA la frattura tra i popoli e le élites sembra ormai impossibile da ricomporre.

Da un lato le élites insistono a voler trattare con disprezzo e voler dare lezioni morali ai popoli non allineati, dall’altra i popoli sono sempre più confrontati all’erosione dei propri diritti fondamentali: sicurezza, lavoro, sanità, educazione a scapito del rafforzamento delle tutele dei nuovi “protetti” della sinistra: migranti, gay, islam.

Le élites si fanno forti del voto della nuova borghesia senza radici, che abita le metropoli, che non ha famiglia, che studia, che lavora nella finanza, nei servizi. La sinistra dei professori, del cinema, degli universitari, dei giornalisti, dei giudici, dei funzionari, degli immigrati, delle banche e, ahinoi, dei vescovi.

Sulla trincea opposta: il popolo e i populisti.

 La cosa difficile da comprendere è la totale incapacità delle sinistre europee a tirare una qualsivoglia lezione dalle batoste elettorali che si susseguono una dopo l’altra a livello nazionale, locale e, probabilmente, europeo. Sempre più sconfitti e sempre più ottusi.

“Siccome il popolo ha votato male, bisognerà eleggere un nuovo popolo”, diceva Brecht. È il progetto della sinistra: creare un nuovo popolo: senza patria, senza colore, senza religione, senza identità.

 

Se il popolo vota male, sulla stampa sinistroide spuntano editoriali che rimettono in discussione il suffragio universale.

Se nell’Europa dell’est le politiche di Putin, Duda, Orban e compagnia bella vengono plebiscitate a ogni elezione…per la sinistra non ci sono dubbi: quelli sono popoli xenofobi e incolti, dominati dall’odio.

Dopotutto, chi vota male non può che essere…il male

Alla sinistra odierna, del comunismo vecchio stampo non resta altro che la squisita tolleranza degli avversari politici.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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