Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Un labirinto- giardino che si rivela per gradi, ossigenato fin dall’inizio dal verde del tavolo da biliardo e del piano inclinato della scena fino a “svelarsi” – nell’immagine notturna dell’ultimo atto – in tutta la sua magica profondità, come un enorme tavolo da gioco. Così la regista Sonia Bergamasco descrive la sua idea delle Nozze di Figaro andata in scena in questi giorni al Maggio Musicale, e realizzata con le scene di Marco Rossi e i costumi di Gianluca Sbicca, il quale evocherebbe un Settecento “aggiornato con grinta e sapienza (…) in cui “il popolo” è braccio armato di Figaro e protagonista delle incursioni teatrali da lui orchestrate al fine di ristabilire i diritti calpestati. Teatro nel teatro, gioco di specchi e scambio di ruoli”.
La Bergamasco, che è al suo esordio nella regia operistica, costruisce così uno spettacolo che sicuramente non irrita né tanto meno offende e riesce in effetti ad evocare qualche atmosfera del secolo libertino, tra profumo di seduzione e presagio di ribellione. Ma in tutto questo spettacolo, sicuramente dignitoso e gradevole, c’è comunque qualcosa che non convince: una certa monotonia, elemento del tutto estraneo alla partitura mozartiana. Difetto certo non imputabile in tutto alla regia, che anzi sa animarsi in alcuni momenti di vivacità e comicità (ad esempio, nel “riconoscimento” dal sapore spiccatamente plautino di Figaro da parte di Bartolo e Marcellina, o anche nella scena notturna del quarto atto) ; per non parlare degli schiaffi, decisamente … sonori e sottolineati. Ma forse per la staticità di alcune altre scene, l’intrigo degli equivoci non sempre scorre e quanto ai “presagi” rivoluzionari (dato ma non concesso poi che nel testo dapontiano ve ne siano realmente) non si armonizzano molto con un Figaro che appare qui più come un pasticcione ingenuo che non come il factotum della città del barbiere.
Un altro elemento sicuramente interessante, ma che da un punto di vista “spettacolare” non è stato forse molto felice, è stata l’idea di proporre l’opera nella sua versione integrale, ripristinando le arie di Marcellina e Basilio nel quarto atto: sicuramente apprezzabile da un punto di vista strettamente musicale, ma in uno spettacolo che per l’appunto non sempre scorreva con la dovuta “agilità” ha finito per ingenerare anche un po’ di monotonia.
E qui veniamo a quello che potrebbe sembrare il punto più critico dello spettacolo, la direzione di Kriistina Poska. Forse la sua intenzione era di evidenziare nella partitura la levitas e la grazia settecentesca e non c’è dubbio che in alcuni momenti ci riesca, come nell’aria di Cherubino (voi che sapete…) o anche nel duetto da Susanna e Marcellina nel primo atto; così come è apprezzabile la sottolineatura della psicologia dei personaggi, che in quest’opera è proprio la dimensione musicale a rendere particolarmente vivi: i tempi però, sono spesso lenti: la brillante ouverture, un vero e proprio gioiellino musicale, appare ad esempio incredibilmente scialba ed eseguita in modo quasi “sbrigativo”; e a volte si ha anche la sensazione che la coesione dell’orchestra, e il suo rapporto con il palcoscenico, presentino qualche smagliatura. L’orchestra del Maggio Musicale e naturalmente anche il coro (che però in quest’opera ha un ruolo piuttosto limitato) hanno comunque dato prova della consueta professionalità e livello, anche se forse non sono stati messi nella condizione di dare il massimo.
Per quanto concerne i ruoli vocali, l’impressione è quella di un generale decoro e il pubblico comunque ha applaudito con fervore quasi tutti gli interpreti. Come è noto, in quest’opera manca un tenore di rilievo e i ruoli principali sono quelli di soprano e di basso o basso baritono. Il baritono Mattia Olivieri ha impersonato un conte Almaviva abbastanza “sgradevole” (come del resto deve essere) a metà tra il despota mancato e il geloso libertino (altrettanto mancato). Abbastanza convincente sul piano scenico, sul piano vocale si è mostrato all’altezza della tessitura del ruolo, grazie a una bella voce brunita di discreta potenza e a una dizione ben scandita ed elegante. Il ruolo di Figaro (basso-baritono) è stato ricoperto brillantemente sul piano vocale da Simone del Savio: buona tecnica e buon volume di voce; forse però il personaggio, pur interpretato in modo vivace, appare nel complesso un po’ piatto.
Buone nel complesso le voci femminili: la Susanna di Valentina Mastrangelo si distingue per la sua freschezza e spigliatezza interpretativa, dotata di buon fraseggio e di una emissione chiara e con un buon registro acuto. Serena Gamberoni è apparsa forse meno a suo agio nel ruolo della contessa, ma ha dimostrato comunque una buona e convincente impostazione di soprano lirico, anche lei con un buon registro acuto. Spigliato e vivace il Cherubino di Miriam Albano, molto curata nel fraseggio e discrete nel complesso anche le parti minori.
Uno spettacolo che forse non è proprio tra i migliori della stagione, ma che si è lasciato guardare ed ascoltare con piacere ed è stato comunque molto apprezzato dal pubblico.
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