Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
In'alto: Gioconda papini con il padre Giovanni, Gioconda Papnini con la figlia Ilaria Occhini a passeggio per Firenze nel 1947, Ilaria Occhini giovane attrice negli anni '60; In basso: Barna Occhi e la moglie Gioconda Papini, Ilaria nagli ultimi anni
Dalla madre Gioconda Papini, aveva preso la bellezza da madonna del ‘400, dal padre gli occhi dolcissimi attraversati talvolta da lampi di inquietudine.
Gioconda non l’ho conosciuta, morta assai giovane nel 1954, se non attraverso uno struggente memoriale che le dedicò per il trigesimo della morte il marito Barna, Lettera a te(Firenze, Le Lettere) nel quale rievocava gli ultimi mesi di vita della moglie, la malattia, lo strazio della perdita e, in un flash back carico di tenerezza, il loro incontro, la vita trascorsa insieme.
Ho conosciuto invece Barna Occhini, era figlio a sua volta di Pier Ludovico Occhini – che ad Arezzo, di cui era podestà, ripristinò l’antica ed ancor oggi viva consuetudine della Giostra del Saracino – fondò l’Accademia petrarchesca in occasione della cui prima adunata fu invitato a parlare Giovanni Papini che giunse con la figlia Gioconda. Scoccò allora, sotto le insegne della grande poesia, l’amore fra Barna e Gioconda da cui nacquero tre figli, Ilaria, Simone e Alvise.
In Barna – che fu caporedattore del «Frontespizio» dal 1939 quando la direzione fu assunta da Papini, Soffici e Bargellini, e poi direttore e fondatore insieme a Soffici di «Italia e Civiltà» (1944) e infine di «Totalità» (1966) da cui questo giornale ha ripreso la testata –, si manifestava la nobile stirpe della cultura, praticata per passione, che nessun potere può comperare perché semplicemente non è in vendita. E non poteva essere venduta/comprata perché aveva come principio fondante la libertà, la libertà assoluta, anche quella di sbagliare (?), di scegliere la parte sbagliata (?) non anelando a prebende o contributi o riconoscimenti.
Ilaria, ho conosciuto anche lei, apparteneva come figlia di cotanto padre amico del mio, alla costellazione famigliare, per quanto il mestiere di attrice la ponesse in un mondo altro, più mondano, patinato, talvolta alieno a quello della cultura di intellettuali liberi e indipendenti del quale Barna era uno degli alfieri più rigorosi. La ricordo donna bella anche nella vecchiaia accettata senza penosi ritocchi estetici, con dignità, direi quasi con fierezza forse perché, per quanto incorniciati dalle rughe, i suoi occhi rimanevano vivi, bellissimi a illuminare la venustà dell’età avanzata.
Negli ultimi anni ci siamo sentite qualche volta, e mi fece piacere una sua telefonata all’indomani della morte di mio padre, oltre alle condoglianze di rito mi chiedeva che fine avrebbe fatto l’archivio che il suo genitore aveva affidato al mio, temeva, come talvolta accade, che potesse andare disperso per la sventatezza degli eredi. La rassicurai, l’archivio di Barna Occhini era stato affidato alla lealtà di mio padre e il suo intento di perpetuare le memorie non sarebbe stato tradito o dimenticato.
Ecco, cara Ilaria, ti lascio con la trascrizione di questo post scritto su Facebook da una delle archiviste che presso la casa Museo Sigfrido Bartolini, lavorano all’archivio di Barna, Elena Gonnelli (autrice del post) e Sara Landini le hai conosciute, sono giovani appena trentenni che hanno anche loro una passione speciale per la memoria, come vedi è tutto in buone mani.
Erano quasi 5 anni fa
quando io e Sara Landini suonammo il campanello del
Centro Studi, allora Casa Museo, Sigfrido Bartolini. Con l’ingenuità di chi
possiede solo la consapevolezza di saperlo fare bene il proprio lavoro,
entrammo in quel magico mondo di conoscenza che la Sig.ra Pina Bartoliniè stata in grado di tessere come
una moderna Penelope, non aspettando bensì ricordando suo marito, Sigfrido
Bartolini, il Professore-come lo chiamavano.
Eh sì, perché il ricordo è una cosa seria: quante volte l’ho detto, l’ho
scritto, l’ho pure disegnato. E stamani mi accorgo che a lavorare con i ricordi
si finisce anche per farsi un po’ male, quando questi ti toccano così da vicino
da farti entrare nella storia delle persone. Negli anni, Pina ci ha portato
dentro la memoria di cui ci stavamo prendendo cura: “gli archivi sono relazioni
e come tali bisogna conoscerle”, dice sempre (e pensate che non ha mai letto un
manuale di archivistica, ma potrebbe scriverlo). Per me è stato emozionante
parlare al telefono con Mario Richter, la Sara invece è diventata amica con
l’elenco del telefono per recuperare dati su Maria Damerini. Ma c’è stato un
incontro, uno su tutti, forse perché lo abbiamo fatto insieme, non so, che si è
sedimentato come quel momento che richiami con:” ma ti ricordi quella volta
che...”.
L’archivio di Barna Occhini è stato il primo grande lavoro portato a termine
al Sigfrido
Bartolini, associazione centro studi., che da allora è diventato
tale; è stato il mio secondo inventario; la sfida con l’informatica; un legame
di colleganza che diventava amicizia (ma forse era l’amicizia che sapeva
comportarsi da colleganza).
Oggi, quasi 5 anni dopo, mi sveglio in una domenica di ferie. Mi arriva un
messaggio da un amico. Apro il giornale e mi viene voglia di scrivere a Sara:
“Amica, ti ricordi quella volta che, emozionate e impacciate, siamo state a
casa di Ilaria Occhini? E abbiamo conosciuto Raffaele La Capria?”
Sì, ci ricordiamo. E anche se “ci era passata sopra meno vita” (questo è il
messaggio di risposta della Sara) possiamo dire che archiviamo quel momento
destinandolo alla conservazione permanente.
Buon riposo Ilaria.
Inserito da Enrico il 03/08/2019 17:42:06
"Fatti guidare dai sorrisi di Gesù" mi suggerì anni fa un anziano sacerdote. Quelli che devono aver illuminato il Suo volto ascoltando le richieste di Maria o benedicendo i bambini o anche ascoltando, come scrisse Valerio Volpini, “certe smargiassate di Pietro o di fronte agli atteggiamenti semplicistici degli apostoli” (Tanto per dire, Mucchi ed., 1998, p.84). E se ogni bel sorriso è spesso un soccorso, venendo a noi, come dimenticare il sorriso di Ilaria Occhini in "Graziella"? La sua serena "venustà", sopra ricordata da Simonetta Bartolini? Enrico Messori