Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Madonna che scappa (Sulmona)
Se per assurdo scomparisse la Settimana Santa, insieme con la sua memoria, sarebbe una perdita gravissima per la cultura dei popoli di tradizione cristiana perché diventerebbe incomprensibile gran parte della loro arte, letteratura, musica. La Passione e Resurrezione di Gesù non sono soltanto il centro, il cuore della fede cristiana, ma hanno sostanziato per duemila anni la nostra civiltà.
Persino il nostro teatro occidentale, nato nel primissimo medioevo dalle ceneri di quello antico, ha come radice una cerimonia liturgica della Settimana Santa, il celebre “Qui quaeritis?”- “chi cercate?- che ha ispirato molte tradizioni popolari come quella della “Madonna che scappa” che tuttora si può ammirare a Sulmona e in altre cittadine italiane.
Ebbene, nell’ufficio notturno della Pasqua si rappresentava l’episodio delle Marie al sepolcro che incontravano l’angelo. Finita la processione, un sacerdote avvolto in una bianca veste, come l’angelo del racconto evangelico, si volgeva dall’altare al coro domandando: - “Chi cercate?”. E due chierici, che rappresentavano le pie donne, rispondevano: -“Gesù Nazzareno”. Il sacerdote si volgeva allora verso l’altare che simboleggiava il sepolcro esclamando: -“Non è qui”. A quelle parole ognuno dei due chierici si volgeva verso il lato vicino al coro annunciando: -“Alleluja, il Signore è risorto!”.
La Settimana Santa è nata a Gerusalemme nei primi secoli per rivivere gli avvenimenti della Passione e svilupparsi poi in Occidente con caratteristiche diverse, tant’è vero che in Italia l’analogia si riduce oggi di solito alla processione delle Palme e all’adorazione della Croce al Venerdì Santo. Mentre in Spagna si commemora con processioni e riti durante l’intera settimana, fino alla domenica di Resurrezione.
Di quelle cerimonie possediamo un’accurata descrizione nel “Diario di viaggio di Eteria”, conosciuta anche come Egeria: una monaca occidentale che si recò in pellegrinaggio in Palestina all’inizio del V secolo. Narra, fra l’altro, che nel pomeriggio della domenica precedente la Pasqua i fedeli partivano dall’Imbomon, la chiesa dell’Ascensione, camminando davanti al vescovo al canto di inni e antifone. “Tutti recano in mano”, ci riferisce, “rami di palma o di ulivo, e così si accompagna il vescovo nel modo in cui il Signore venne scortato in quel giorno. Dall’alto della montagna fino alla città, e da lì fino all’Anastasi (la chiesa della Resurrezione), attraversando la città percorrono la lunga strada a piedi”.
La Palma infatti è uno dei tanti simboli che accompagnano i riti e le tradizioni della Settimana Santa, aiutando forse più di tante parole il fedele a contemplare i misteri dell’Incarnazione, della Passione e della Resurrezione.
Le palme agitate in segno di gioia al passaggio di Gesù non erano d’altronde segni casuali nelle tradizioni mediterranee precristiane. Come scrive Alfredo Cattabiani nel “Florario” (Mondadori), i Greci davano a quest’albero lo stesso nome della phoînix, la fenice, che rinasceva miracolosamente dalle sue ceneri, ed era simbolo del divino nel suo splendore ed emblema della Vittoria: sicché con i rami agitati festosamente la folla acclamava Gesù Messia e re d'Israele, giunto a liberare il suo popolo.
La Chiesa assunse perciò la palma come il simbolo della vera vittoria del Cristo nella Resurrezione e di tutti coloro che lo avrebbero testimoniato con il martirio. Nelle catacombe cristiane i martiri sono accompagnati da una palma cui spesso è unito il monogramma del Signore per indicare coloro che hanno riportato la vittoria spirituale morendo per la fede.
Ma la maggiore concentrazione di simboli si riscontra nel triduo pasquale, a partire dal Giovedì Santo e dal Venerdì Santo quando si commemorano la passione e morte del Cristo con processioni e sacre rappresentazioni cui nel passato si aggiunsero sermoni semidrammatici, cioè prediche accompagnate da quadri viventi o da canti, e altre cerimonie paraliturgiche.
Più austera e spoglia è invece la Via Crucis, un esercizio di pietà che consiste nel passare processionalmente davanti a un serie di quatordici croci, dette “stazioni”, soffermandosi davanti a ognuna di queste per meditare su alcuni episodi della Passione. Questa pratica devozionale si ricollega ad antiche cerimonie in uso nei Luoghi Santi fin dal secolo V. In Italia venne adottata a partire dal secolo XIV grazie ai francescani che alle Croci aggiunsero le immagini di quatordici episodi da meditare.
La Croce, d’altra parte, non è soltanto lo strumento di morte del Cristo ma anche simbolo dell’Albero della Vita, come rammentato nell’Apocalisse di San Giovanni: “A colui che vincerà darò di cibarsi dell'albero che è nel Paradiso del mio Dio”.
Un altro simbolo pasquale è il Fuoco al centro della Veglia pasquale, durante la quale, allo scoccare della mezzanotte fra il Sabato Santo e la Domenica, si celebra la Resurrezione del Cristo con il rito del “Lucernario”: l’accensione del Cero Pasquale, simbolo del Cristo risorto.
Si tratta in realtà di un simbolismo universale che si ritrova in antichissime tradizioni religiose: in genere è abbinato a quello della Luce, tant’è vero che quando nella Veglia pasquale il sacerdote, una volta acceso il Cero si avvia verso l’entrata della chiesa, canta “Lumen Christi”.
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