Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
old Weninger… chi era costui? Devo davvero coprirmi il capo di cenere perché in tanti anni di critiche e cronache musicali non avevo mai sentito nominare questo signore. Da incallito filoasburgico, sia in versione granducale che imperiale, adoro ovviamente la Radetzky Marsch, ma mi era sfuggito il fatto che la versione che ascoltavamo a conclusione del mitico Concerto di Capodanno dei Wiener Philharmoniker fosse stata “arrangiata” ai primi del Novecento; sorte peraltro che condivide con tante altre partiture più o meno celebri, per tanti e vari motivi che ora non è il caso di investigare.
Così come ignoravo – e come me credo tantissimi altri lettori più o meno musicofili – che il detto signor Weninger, che non è propriamente una stella del firmamento dei compositori, avesse non solo aderito al nazismo, ma ne fosse stato in una certa misura il “compositore ufficiale”, essendo autore di varie marce e pure un inno dedicato a Hitler.
Possiamo convenire che non sia il massimo dell’entusiasmante, ma un briciolo di mentalità “storica” e ancor più un pizzico di buonsenso dovrebbero farci scrollare le spalle e magari porci la fatidica domanda: ma cosa a che fare la Radetzky Marsch tutto ciò, se per di più è vero che Weninger arrangiò lo spartito nel 1914, quando Hitler era solo un “caporale boemo” (per dirla con Hindemburg) e sul trono dell’ancora vivente Duplice Monarchia sedeva Sua Maestà Apostolica Francesco Giuseppe I, lo stesso sovrano del grande Feldmaresciallo che vinse i Piemontesi nel 1848?
Nella cosa si dovrebbe caso mai vedere davvero una ironia della storia, perché quella marcia (pensiamo allo splendido romanzo omonimo di Joseph Roth) era alla fine diventata un simbolo di quella civiltà asburgico – mitteleuropea che è quanto di più antitetico possa esserci alla volgarità e alla brutalità del nazismo; non per nulla il Fuhrer non aveva certo simpatia nei confronti degli Asburgo, mentre non mancava di strizzare l’occhio agli Hohenzollern, purché beninteso stessero ben lontani dal trono tedesco.
Ma tutto questo, alla fine, che cosa ha a che vedere con quello splendido brano musicale che conclude il concerto di Capodanno, ritmato dai festanti battimani degli spettatori? Per saperlo bisognerebbe rivolgersi al presidente dei Wiener, il primo violino Daniel Froschauer, che ha deciso di ….denazificare la marcia di Johan Strauss senior riproponendone una versione più “austera” e rispettosa degli spartiti originali. Idea che sarebbe peregrina anche se l’operazione volesse essere puramente “filologica”, perché il concerto di Capodanno ha una sua tradizione esecutiva che non può essere ignorata; ancor di più poi se si pensa che gli elementi “nazisti sarebbero (almeno a quanto pare) proprio gli applausi ritmati e condotti dallo stesso direttore d’orchestra (!!!) e un ruolo più importante delle percussioni. Già che ci siamo perché non proporla al clavicembalo, allora?
Ma tant’è; Froschauer parla di una versione “finalmente libera dalle ombre brune del passato” [1], mentre secondo l’Avvenire sarebbe stato il direttore disegnato del concerto di Capodanno il lettone Andris Nelsons, a rifiutarsi di dirigere la versione “incriminata”.[2] Chissà se Nelson è al corrente del fatto che il Concerto di Capodanno esiste proprio dall’anno fatale 1939, anno in cui (purtroppo) a Vienna non sedevano più sul trono né Francesco Giuseppe né il suo grande e sfortunato successore Carlo I; se dunque Nelson e Froschauer volessero essere pienamente coerenti con i loro assunti di partenza, dovrebbero presentarsi da soli al proscenio, fare un bell’inchino e dire al pubblico: spiacenti, il concerto non si fa più perché è cripto apologia di nazismo.”
Dunque, almeno a quanto a pare, scompariranno gli applausi e i battimani ritmati dal pubblico? Personalmente avrei un consiglio per quest’ultimo, munirsi di pomodori e ortaggi vari e sostituire il ritmo delle mani con un serrato lancio verso il direttore e il primo violino. E ci si chiede se la premiata coppia Nelson & Froschauer non abbia preparato una bella lista di proscrizione: a partire da Wagner, ovviamente, che pur essendo morto nel 1883 non ha saputo prevedere il fatto che sarebbe diventato uno dei numi tutelari del III Reich, seguito a ruota dai ben più “infami” Richard Strauss, presidente della Reichsmusikkammer dal 1933 al 1935 (per quanto il suo rapporto con il potere fosse tutt’altro che di acritica sottomissione), Carl Orff, che pur non essendo mai stato iscritto al partito né avendone condiviso l’ideologia, è stato però accusato di “collaborazionismo” etc. etc.
Insomma, oltre al politically correct abbiamo adesso il “musically correct” ed è davvero triste che sia proprio una istituzione venerabile come i Wiener Philharmoniker a farsene banditori. Ma gli unici applausi che riscuoteranno saranno quelli dei salotti radical-chic di un’Europa bolsa e ormai totalmente incartapecorita in un “perbenismo” ignorante e anche più ferocemente totalitario, se possibile, di quello nazista e comunista; ma per lo spettatore, per l’amante della musica, per il semplice ascoltatore la marcia di Radetzky sarà quella di sempre, con il suo ritmo festoso che non ha nulla di politico, ma solo il sapore di una festa che ogni anno allieta, o forse allietava, i nostri teleschermi e i pochi fortunati che riescono a procurarsi un biglietto.
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