Racconti di un'altra stagione

8. Il Compositore

Breve storia di un compositore perso e ritrovato

di Giulia Bartolini

8. Il Compositore

La musica. Il nostro Sognatore è un’amante della musica. È una delle poche cose che rallegrano le sue giornate. Una delle poche gioie che riempiono le sue ore. La musica della giostra, quella del Luna-park, i musicisti di strada. I musicisti di strada. Sì. Dovete sapere che all’interno di un luna-park ne passano diversi. Dai violoncellisti improvvisati, ai chitarristi specializzati nelle solite tre canzoni di Battisti, agli imitatori di Renato Zero, degli Oasis, di Paola e Chiara addirittura, ai suonatori di organetto ecc. ecc…Questa mattina il nostro Sognatore ne ha incontrato uno appena arrivato. Senza strumenti. Un musicista senza strumenti.

“Come fa a essere un musicista se non suona nessuno strumento?” gli ha chiesto il nostro Sognatore.

“Io non suono la musica, io la creo. Sono un compositore.”

Ha detto buttandosi poi a lavorare con una matita su un fogliaccio già pieno di note musicali scarabocchiate… e al nostro Sognatore è venuta voglia di scrivere.

 

In un altro momento, in un mondo simile al nostro, in un’altra stagione,

c’era una volta un Compositore.

Era brizzolato (aveva una certa età) e se ne stava spesso seduto sul divano. Aveva un divano perché aveva una bella casa e aveva una bella casa perché era stato un compositore famoso, molto famoso. Fino ad un certo punto. Leggeva spesso Moravia (era un intellettuale) e mangiava mele (perché fanno bene). Si metteva spesso una cravatta di colore scuro, in tinta coi divani dell’immenso salotto di casa sua, con quella libreria incassata nel muro al cui ultimo ripiano si arrivava solo con la scaletta, o con una sedia (la scaletta era molto instabile a dirla tutta). I morsi che tutti i giorni dava a quella benedetta mela, decisi e fastidiosi, richiamavano sempre la moglie, dall’altra stanza. Oh, si, il nostro compositore brizzolato e (possiamo dirlo) di mezza età, aveva una moglie. Da tanto tempo ormai.  Lei era bella, ma lui non se ne accorgeva più. Aveva biondi capelli ricci e un foulard sempre addosso, di colore acceso, non come la cravatta del compositore. Quella era così scura. Lei amava mangiare lamponi e suonare il violino: struggenti sonate alla luna nuova. Ogni sera dopo cena lei si chiudeva nel bagno per un’ora, sola e in silenzio, mentre lui si sedeva sul divano a mangiare mele e a leggere (sempre Moravia). Lei si truccava, con cura, con attenzione, come una bambola, scuoteva i lunghi riccioli biondi, si allungava le ciglia, metteva il rossetto e poi usciva dal bagno, pronta, elegante, con tacchi e abito lungo, si sedeva sul balcone e suonava, suonava fino alla mezzanotte.

A mezzanotte e un minuto smetteva di suonare, ogni sera, alla stessa ora. Passava accanto al marito, gli accarezzava dolcemente i capelli e se ne andava nell’altra stanza, senza voltarsi indietro, si chiudeva in camera e lui non la vedeva più fino all'ora del suo sonno. Il nostro compositore tutte le sere si lasciava accarezzare, ormai immune a quei gesti d'affetto, ringraziando la luna per non aver gradito quella sonata e averla fatta smettere. Non riusciva più ad ascoltarla. E un tempo la amava eh. Si, un tempo rimaneva incantato dal suono di quel violino.

Ma è qui che inizia la vera storia. Il nostro compositore ogni sera, dopo la mezzanotte, quando la moglie s’era ritirata, chiudeva il libro, lasciandolo cadere sul divano senza segno. La sera dopo tanto lo avrebbe ricominciato da capo. Andava verso il balcone e calava una corda, scendeva sul cornicione del palazzo e sulla strada, poi cominciava a correre nel buio. Anche quella sera, il nostro compositore cominciò a correre nel buio finché non giunse di fronte al grande cancello d’una villa. Due carrozze attendevano i passeggeri davanti al portone, bussò e gli aprirono. Dentro, un enorme salone illuminato a festa e centinaia di dame e cavalieri che tenevano il passo, danzando al ritmo di una musica troppo bella per essere dimenticata. Una sinfonia di Berlioz risuonava nell'aria (ricordatevi che si tratta di un racconto intellettuale) ...e quella casa, quel balcone, quel violino, quei riccioli biondi apparvero al nostro compositore ormai lontani, fugaci attimi di una vita solo sognata... A quel punto cominciò a danzare. Con una dama, e con un'altra, e poi un'altra, e un'altra ancora e le luci soffuse si mangiavano i loro passi. Una dama lo guardò con quello sguardo che sa di amore struggente e non vissuto. Lui la prese per mano e la invitò in un valzer, e Robert, il nostro compositore (così si chiamava), non le pestava certo i piedi come un ballerino inesperto, non le diceva parole fragili e tremanti come un giovane innamorato, danzava e basta, e poi le baciava la mano e fuggiva. Correva per le strade, contro ogni ricordo meraviglioso, perché giovinezza non gli sfuggisse tra le mani…ogni sera finiva ad un altro ballo e lì danzava. Ma non come prima. A questo ballo danzava come nel milletrecento. E come nel milletrecento partecipava al banchetto e si travestiva, si svestiva, fuggiva e ballava: e il nostro Sognatore può descrivervene i particolari, le luci che danzavano sul suo volto severo, la luce che cominciava a sbiadire nei suoi occhi chiari ogni notte che usciva, i sassi che rotolavano sotto i cancelli di ferro battuto che si aprivano, le ruote dei carri sulla strada maestra, le buche della corsa che interrompevano il viaggio. Ma il nostro Sognatore non vuole perdere il filo e scrive solo che il compositore danzava con tutte le donne con le quali si può danzare nelle poche ore che compongono la notte. Ogni volta faceva un inchino e fuggiva. Un sorriso e la parola “Amore" si perdeva nell’aria, mai pronunciata (d’altronde mica la si può dire dopo un solo ballo).

Così ogni notte fuggiva... al suono di quel violino invidiato, alla paura d'essere ormai vecchio, solo e fallito... ascoltava la musica d'altri, si perdeva negli occhi di altre donne, boicottava la pace, l'amore la serenità costruita pur di rivivere la gloria d'una sinfonia che neanche era piu' la sua...


Poi quella notte fu diversa. Improvvisamente il nostro compositore vide l 'alba lontana farsi strada tra le stelle più basse e cominciò a correre verso il suo balcone ma ecco, (fu la luce a causarlo) qualcosa gli venne addosso e caddero.

Alzò lo sguardo, stordito, e vide che era lei. I suoi riccioli biondi, il suo rossetto rosso, e il suo violino. Prese per mano la moglie e la fermò.

"Cosa fai?" disse Robert,

"Corro"

"A letto, non ci vai?"

"Più tardi."

La prese per mano e fece un lieve inchino con la testa, la invitò a ballare e lei accettò. I loro respiri si confusero, le mani si intrecciarono, fu Schumann questa volta a invadere il mondo. Dopo tanto tempo. Lei gli sussurrava all’orecchio parole d’amore, di nostalgia, di paura, parole in cui perdersi e ritrovarsi…parole che venivano da un tempo lontano in cui nella giovinezza non si poteva aver paura del domani, della vecchiaia, della perdita, dell’abitudine, del fallimento, della tremenda solitudine…Così Robert la guardò.

"Amore mio."

"Come mi hai chiamata?"

"Amore mio."

"Ripetilo"

"Amore mio."

"Ancora"

"Amore mio...torniamo a casa?"

 

Il nostro Sognatore è rimasto immobile con la penna tra le mani, leggermente interdetto. L’amore. Che sogno lontano. Confuso, e pieno di meraviglia…Poi il suo orecchio lo ha risvegliato dai pensieri, fuori, una musica sembrava riempire l’aria, il vecchio compositore canticchiava mentre scriveva…Schumann… 

Poi le ultime battute:

 

“Amore mio...andiamo a casa?"

''Volevo aspettare."

"Cosa?"

"Che Schumann smettesse di suonare".

A tutti i compositori giovani, pieni di meraviglia, paura e coraggio. Che possa  risuonare fino alla fine.


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