Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Uova pasquali
“Pasqua,Pasqua viene correndo/ che i bambini vanno piangendo/ vanno piangendo con tutto il cuore/ perché vogliono le scarcédde con le uove”, cantano in Puglia quando si avvicina la ricorrenza pasquale. La “scarcédda” o “pane di Pasqua” è salato, con mandorle infisse nella superficie e fronde d’ulivo benedetto; ha forme diverse e viene portato a tavola il giorno di Pasqua insieme con uova sode benedette, sale, pepe e un bel mazzo di prezzemolo.
In diversi paesi della provincia italiana, dove contrariamente a quel che si pensa nelle grandi città, sono vive tuttora molte antiche tradizioni, vi è l’usanza di portare le uova in chiesa il Sabato Santo per farle benedire prima di mangiarle la Domenica di Resurrezione. Si dice che la consuetudine sia nata perché una volta le uova, ritenute cibo “grasso”, erano proibite in Quaresima, sicché i contadini per non farle andare a male le cuocevano e le verniciavano conservandole poi sotto la paglia. Finito il divieto andavano a venderle la domenica di Pasqua alle porte delle chiese prima della messa: così ricevevano anche la benedizione pasquale.
Questa semplice spiegazione non soddisfa totalmente perché l’antico rito pasquale non solo risale ai primi secoli del cristianesimo, ma addirittura rammenta altre cerimonie pagane, poi cristianizzate, collegate al risveglio primaverile: nell’antica Roma, per esempio, si festeggiava la dea Cerere a primavera portando al tempio in processione uova fresche, come simbolo della vita che risorge con la bella stagione. E i persiani, migliaia di secoli fa, si scambiavano a primavera uova in alcune cerimonie religiose come augurio di vita, abbondanza e felicità.
A questo simbolismo si ispira un vecchio canto di questua in onore del maggio fiorito che si cantava una volta nelle campagne toscane: “Eccolo maggio adorno e pieno di fiori,/ di rose e gelsomini,/ diversi fiorellini in primavera./ Bonasera a chi sente/ e di noi non vi scordate,/ andate a casa e l’ova preparate./ E dateci da bere, e dateci dell’ova/ ma non di quelle che la chioccia cova...”. Uova che a Pasqua erano state benedette da un sacerdote casa per casa. Da questa usanza nacque un detto toscano contro gli scocciatori: “Gira largo, tanto con me ‘un si fa òva”, perché una volta in campagna al prete, che andava a benedire le case nel periodo pasquale, si regalavano uova fresche.
D’altra parte in molte civiltà del passato l’uovo era ritenuto all’origine dell’universo: “In principio, nel mondo inferiore, privo di luce... vi era un grande uovo”. Così dice il Mahäbhärata (300 a.C.), il celebre poema epico indù. Anche nella Cina e nel Giappone si credeva che l’intero cosmo derivasse da un uovo primordiale, e in Mesopotamia si narrava che fu un uovo di straordinaria grandezza covato da una colomba a generare Astarte, la dea dell’amore e della fecondità.
Secondo un mito orfico, inoltre, in principio esisteva la Notte che nelle sembianze di un grande uccello fecondato dal vento depose un uovo d’argento da cui balzò Eros, il dio delle ali d'oro, la fonte della vita.
In ogni tradizione si credeva dunque che l’uovo fosse simbolo di “nascita”; ma anche di resurrezione. Perciò gli egizi, che vedevano nell’uovo la perfezione assoluta, racchiudevano la mummia del defunto in un sarcofago ovale che, come il guscio dell’uovo, avrebbe protetto il suo principio vitale - il Ka - permettendogli di raggiungere la lontana dimora degli dei. Inoltre nelle tombe egizie sono state trovate anche uova intere, così come in molte necropoli di altre civiltà del passato: in Ur, a Cartagine, in Israele, nell’Etruria. Anche nelle catacombe romane vi erano uova di marmo che simboleggiavano la rinascita del defunto. In ogni caso dalla specifica funzione dell’uovo come generatore di vita nasce il suo simbolismo pasquale: il mistero del passaggio dalla morte alla vita, della resurrezione.
L’Uovo di Resurrezione per eccellenza è il Cristo stesso. In molte cattedrali si deponeva una volta, il giovedì santo, un uovo di struzzo nel sepolcro rituale insieme con la Eucarestia e lo si ritirava il giorno di Pasqua cantando: “Surrexit Dominus Vere: Alleluia!”. Già nel IV secolo i cristiani si scambiavano le uova benedette come simbolo del Cristo risorto: l’usanza era talmente diffusa che la Domenica di Resurrezione era chiamata “Pasqua dell'Uovo”.
E perciò è presente in tanti cibi tradizionali della Pasqua italiana, come ad esempio nella “Torta Pasqualina” di Genova, un miracolo della primavera ligure a base di bietole o carciofi e pasta sfoglia; oppure nelle “cuddhure” salentine, dolci di Pasqua confezionati a forma di colomba, cestino, gallo, pupazzi, che hanno al centro un uovo sodo col guscio colorato, fermato da due strisce di pasta incrociate.
Frutto di antichissime credenze è sicuramente il pane pasquale sardo chiamato “angulla”, a forma di serpente acciambellato con un uovo dipinto di rosso o di viola - i colori della Vita e della Resurrezione - incastonato nel centro. Rosse sono anche le uova che nella Chiesa ortodossa d’Oriente vengono offerte a Pasqua. E infatti a Piana degli Albanesi (Palermo), la città fondata nel 1486 dagli albanesi fuggiti dal loro Paese a causa dell’invasione turca, si celebra ancora la Pasqua con la distribuzione in chiesa delle uova sode tinte di rosso: secondo la leggenda hanno questo colore in ricordo di quelle deposte da Maria Maddalena ai piedi della croce e diventate rosse dal sangue di Cristo.
Ma il rosso è considerato anche un colore capace di conferire poteri magici. Forse per questo motivo i “diavuli” che a Prizzi, in Sicilia, cercano le anime a Pasqua durante la festa “l’abballu de li diavuli”, sono vestiti di rosso e distribuiscono alla fine i “cannateddi2, i dolci pasquali a forma di canestro con un uovo sodo colorato di rosso al centro.
Per la cristianità ortodossa il significato sacrale del’uovo non è mai tramontato: ancora oggi in alcune località della Russia si usa festeggiare il periodo pasquale gettando uova dipinte nelle acque dei fiumi dove risiedono le anime dei defunti. D’altronde una leggenda ucraina narra che il demonio è legato da una catena formata da tanti anelli quante sono le uova che vengono decorate nell’arco dei dodici mesi. Se in un anno le uova fossero poche, la catena risulterebbe corta e insufficiente per trattenere il demonio che, liberandosi, distruggerebbe tutta l'umanità.
Ma le uova decorate russe, o “pysanky”, dal verbo pysaty che significa “scrivere”, sono donate anche come messaggio di buona volontà, pace e benessere: l’usanza, che era d’origine popolare, si diffuse fra la nobiltà che ben presto si rivolse ai più valenti orafi per avere uova preziose, spesso abbellite con gemme, perle o smalti.
Più tardi nacque l’abitudine di celare nell’uovo pasquale una sorpresa: il più ricco fu creato in Francia all’inizio del XVIII secolo. Era in avorio, conteneva un’uovo più piccolo d’oro che racchiudeva una gallina anch’essa d’oro, e quest’ultima a sua volta una corona di gemme. Il prezioso regalo, che apparteneva alla famiglia regale danese, fu copiato dal famoso orafo Carl Fabergé per lo zar Alessandro che lo donò alla moglie Maria. Da quel momento anche il popolo russo volle emulare il sovrano, fabbricando ricche uova d’ogni materiale, legni pregiati, metalli, marmi, da regalare a Pasqua: al significato religioso dell’uovo, simbolo di vita eterna, di resurrezione, di fede, si aggiunsero quelli più evidenti di pegno d’amore, di amicizia o di stima, che poi hanno preso il soppravvento dando inizio all’era del consumismo emulativo.
Ma aldilà del pressante invito ad acquistare uova di cioccolato da donare a Pasqua, cui ci sottopongono per settimane i mezzi di comunicazione e le catene di supermercati, l’atto, se realizzato con la sacralità dovuta, racchiude in sé ancestrali e profondi significati fra cui un augurio di rinascita spirituale e una vita piena di dolcezze. Donare e ricevere un uovo di cioccolato a Pasqua è dunque un atto cosmico ed universale che si pone di fronte al gran mistero della vita: e se viene compiuto con fede cristiana allora il dono dell’uovo diventa un augurio di vita eterna.
Anche il dolce a forma di colomba che si mangia alla fine del pasto pasquale, nonostante sia un’invenzione della moderna industria dolciaria italiana, può assumere diversi significati così come diversi sono i simbolismi che la colomba ha avuto nel passato.
Nell’antichità pagana, come scrive Alfredo Cattabiani nel suo “Volario” (Mondadori), partecipava dagli attributi della Grande Madre, dell’amore e della fecondità. Per Greci e Romani era anche l’ideogramma della pace, della purezza dei costumi, della semplicità, della fedeltà coniugale; inoltre quando nei rilievi e affreschi precristiani due colombe bevono a un vaso o a un bacile rappresentano le anime che si nutrono alla fonte dell'immortalità, mentre se beccano in un cesto pieno di frutti alludono alla resurrezione: questo simbolismo pagano fu adottato dai primi cristiani.
A volte, come nelle catacombe romane, i candidi volatili hanno un ramo d’olivo fra le zampe, simbolo della pace eterna, oppure lo portano nel becco: la scena si ispira al noto episodio biblico del Diluvio Universale, quando la colomba ne annuncia la fine a Noé. Nel Medioevo prevalse il simbolismo della colomba come Spirito Santo, già presente nel vangelo di Giovanni dove si narra che il Battista vide scendere quel volatile sul capo del Cristo mentre lo battezzava.
Che significato si potrebbe adottare dunque per la moderna e dolce colomba che consumiamo al termine del pasto pasquale? Di là dalle valenze puramente consumistiche che ci trasmettono i media, l’ormai tipico dolciume della Pasqua italiana può, come ogni oggetto, animale o pianta, suscitare simboli diversi.
Potrebbe essere il simbolo del Cristo risorto che porta la pace agli uomini di buona volontà, ma anche dello Spirito Santo che dona la luce ai fedeli; oppure, come la Grande Madre dell'antichità, significare contemporaneamente l’amore, la fecondità, la pace, il risveglio della natura nella primavera appena arrivata. Quest’ultimo simbolismo viene sottolineato dai numerosi ingredienti che farciscono il dolciume, come i frutti canditi, l’uvetta, le mandorle, il cioccolato, le creme: una sinfonia di sapori, chiaro richiamo all’abbondanza di prodotti della bella stagione.
Quanto agli agnelli tradizionalmente consumati nel pranzo pasquale, l’usanza risale alla Pesach o Pasqua ebraica, quando ne venivano immolati uno per famiglia, come aveva ordinato il Signore a Mosè e Aronne: “...ognuno si procuri un agnello per famiglia, e se questa fosse troppo piccola per consumarlo si assocerà al suo vicino (...). In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco, con azzimi ed erbe amare (...). È la Pasqua del Signore! Questo giorno lo celebrerete di generazione in generazione, come un rito perenne...”.
Alla quella ebraica si ricollega la Pasqua cristiana: non a caso Gesù morì in occasione del Pesach, come vero Agnello Sacrificale; sicché l’autentico significato, sebbene ormai dimenticato, della pietanza pasquale più tradizionale, non solo in Italia ma in tutto il mondo cristiano, è palese: simboleggia il Cristo sacrificato sulla Croce per la salvezza dell’umanità. Dunque mangiando l’agnello la Domenica di Pasqua, con la dovuta fede, si commemora il sacrificio divino.
Inserito da AspelrY il 04/09/2021 17:16:07
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