Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
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Non avrei mai creduto, un giorno, di scrivere una difesa di Indro Montanelli. Per un motivo molto semplice: non mi è mai piaciuto, almeno come personaggio. A me, giovane militante di destra, dava fastidio il suo invito a votare Democrazia Cristiana “turandosi il naso” e non ho mai compreso tutta la mirabilia della sua Storia d’Italia, che poco a nulla ha a che spartire con l’omonima opera di Guicciardini, uno dei primi grandi monumenti di storiografia moderna: quella di Montanelli e dei suoi collaboratori potrebbe per molti aspetti costituire una sorta di sciocchezzaio dei luoghi comuni applicato al passato, remoto e prossimo, del nostro paese, ma certo con ben poco o nulla di flaubertiano.
Il personaggio poi: irritante e supponente, fin troppo consapevole del suo ruolo di maitre a penser di una borghesia i cui orizzonti mentali, culturali e politici non erano nel complesso molto più ampi e migliori di quella derisa da Flaubert ….
Come apologia non c’è male, penserà qualcuno….
Intanto per cominciare, c’è il contesto in cui questa vicenda, assurda come poche, è cominciata, quella delle proteste per l’uccisione di George Floyd: un delitto stupido quanto ripugnante, che avrebbe meritato una condanna esemplare per uno o più poliziotti che avevano dimenticato una volta di troppo che vestire una divisa implica pesanti responsabilità, e non può diventare un pretesto per scatenare bestialità e frustrazioni di vario tipo. Crimine razziale? Non mi sembra proprio che atti di questo genere siano diretti soltanto ed esclusivamente contro determinate etnie ma posto che anche lo siano, in tutto o in parte, bisognerebbe a questo punto porsi due semplici domande: tutto questo basta a giustificare l’esplosione di furore, di violenza e di delirio iconoclasta politically correct a cui stiamo assistendo in questi giorni, con il coinvolgimento tra gli altri di Cristoforo Colombo, della regina Vittoria e persino del giornalista di Fucecchio? E tutto questo al netto di più che legittime simpatie, antipatie o riserve storiche di vario tipo sui personaggi in questione (nessuno dei quali, detto fra parentesi e per inciso, sta particolarmente simpatico neppure a chi scrive). Solo, se si deve portare a fondo certe logiche, ci si deve aspettare che in Francia sia ben presto proibito anche solo nominare Giulio Cesare ….ma non diamo suggerimenti alla stupidità galoppante, che di certo non ha bisogno.
Il secondo interrogativo è questo. La storia di Floyd mi ricorda, per alcuni aspetti, quella di Stefano Chucchi, anche lui ucciso per un pestaggio di tutori dell’ordine, o presunti tali. Ora che entrambi siano due vittime non ci sono dubbi, i dubbi invece mi vengono sul fatto che si debba e si possa farne dei martiri, in quanto il secondo era invischiato in faccende di droga, e il primo un personaggio con una fedina penale non certo immacolata (rapina a mano armata) e fermato perché aveva spacciato, perdipiù in stato di ubriachezza, una banconota falsa.
Diciamolo subito a scanso di equivoci e con la massima forza: nessuno dei due meritava di morire per questo e chi li ha uccisi deve pagare: e la divisa in entrambi i casi è un’aggravante, non certo una attenuante, anche se non per questo si deve trascinare nel fango chi la onora davvero anche a prezzo della vita, come invece sovente accade. Bisognerebbe però avere anche il coraggio di ricordare che nessuno dei due è caduto per una nobile causa: Floyd non è stato ucciso in una manifestazione in cui rivendicava dei diritti o protestava contro discriminazioni razziali o d’altro tipo, Cucchi non era un missionario in missione umanitaria. Quindi: vittime sì, ma martiri assolutamente no. Ed è tanto più assurdo che siano considerati dei martiri se consideriamo che la parola significa originariamente testimoni. Testimoni di cosa? Di un qualcosa di esemplare? Cosa c’è di esemplare nello spacciare, soldi falsi o qualcosa di peggio? Della violenza e della brutalità di certi metodi repressivi? Allora ci sono sicuramente (purtroppo) esempi ben più credibili e senza ombre. Giusto dunque indignarsi e chiedere, anzi esigere giustizia, ma andare oltre no; e risparmio al lettore una lunga, lunghissima lista di casi ben più tragici per cui le solite vestali e pitonesse non hanno sprecato neppure un raglio.
Tornando dunque a Montanelli, la sua stata è stata imbratta di rosso con frasi come “razzista” e “stupratore”. Il gesto sarebbe stato rivendicato da un centro sociale e dalla rete degli studenti di Milano e si moltiplicano le richieste di rimozione del monumento da parte di sigle più o meno “ultrà”.
“Se vogliamo ripensare alla toponomastica della città possiamo farlo, ma il dibattito, anche sui social, non può ridursi alla statua di Montanelli”, ha dichiarato il sindaco Sala che ha preso una posizione netta e per una volta condivisibile. Esatto signor sindaco, e sarebbe molto interessante chiedersi come mai a nessuno viene in mente, a Milano o altrove, di mettere in discussione via Togliatti; se si pensa a certe cosette che sono emerse sul conto del cd” migliore”, forse sarebbe il caso di ripensare alla titolazione di molte arterie.
Ma il punto non è questo: l’episodio contro cui si appuntano i furori politicamente corretti, quello della sposa bambina etiope praticamente “comprata” dai suoi genitori (secondo un diffuso malcostume dell’epoca, peraltro non estinto purtroppo in varie parti del mondo) non è certo un titolo di merito e pur con tutta la contestualizzazione storica che si vuole, rimane sicuramente un dato ripugnante. Ma è solo questo il significato che dobbiamo attribuire alla figura storica di Montanelli? Se sì, allora bisogna veramente ripensare la toponomastica non solo di Milano ma di mezzo mondo, e parafrasando il noto detto evangelico dire “Chi è senza peccato resti sul piedistallo”.
Al di là dei suoi lati sgradevoli e oscuri, Montanelli resta il giornalista che, quando quasi tutta la sinistra, italiana e no, inneggiava ai mirabilia del paradiso sovietico e alle misteriose beatitudini oltrecortina, ha avuto il coraggio di denunciare la rivolta di Budapest del 1956 per quello che realmente è stata: un brutale atto di repressione, e questo mentre i Napolitano della situazione acclamavano le truppe sovietiche che sparavano sulla folla e soprattutto sugli studenti. Fu uno dei pochissimi, negli anni di piombo, che osò dichiararsi apertamente anticomunista e che parlò contro il servile e pecoreccio atteggiamento di tanta, tantissima stampa nei confronti del “nessun nemico a sinistra” che era allora la parola d’ordine; e pagò duramente per questo. Infine, piacesse o meno quel che scriveva, fu un indubbio maestro di giornalismo.
C’è chi merita più di lui strade e monumenti?
Senz’altro, ma c’è anche li merita meno e chi non li merita per niente. E i
nomi sarebbero grossi, molto grossi e a tutte le latitudini, anche a quelle
gradite agli odierni imbrattatori.
Ma al di là di ogni altra ovvia e scontata considerazione, è davvero la
caccia alle statue quello di cui oggi abbiamo bisogno?
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