Maggio Musicale Fiorentino

Firenze, il primo appuntamento con le sinfonie di Čajkovskij entusiasma il pubblico: un grande Daniele Gatti e una grande orchestra del Maggio

Tre serate - le prossime mercoledì 28 giugno e sabato primo luglio - per l'integrale delle sinfonie del grande musicista russo.

di Domenico Del Nero

Un bellissimo ciclo in scena in questi giorni nella sala Mehta del teatro del Maggio Musicale Fiorentino, le sei sinfonie del grande compositore russo Pëtr Il'ič Čajkovskij:  tre serate ciascuna con due sinfonie, abbinate unendo un lavoro giovanile ad uno più maturo. Così la prima serata, il 22 giugno scorso, ha visto l’esecuzione della terza (la Polacca) e della quinta sinfonia; la prossima, mercoledì 28 giugno, vedrà invece la seconda (Piccola Russia)  e la quarta, mentre l’ultima, sabato 1 luglio, la prima (Sogni d’inverno) e la sesta (le più celebre, la Patetica). Tutti i concerti si svolgono in sala Mehta alle ore 20, tutti condotti dal direttore principale Daniele Gatti alla guida dell’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino.

Un appuntamento di grande richiamo e spessore, come ha dimostrato la prima serata che ha richiamato un pubblico folto ed entusiasta; un ‘altra prova, se mai ce ne fosse bisogno, dello straordinario livello artistico di una istituzione culturale che contribuisce a tenere alto il nome di Firenze nel mondo dell’arte e della cultura. Le istituzioni locali e nazionali che devono in questi giorni pronunciarsi sul destino del Maggio farebbero bene a tenerne conto e a non dimenticare cosa ha significato dagli anni trenta del secolo scorso in poi, e cosa continua a significare ancora oggi, grazie all’opera di artisti e maestranze che sarebbe folle non solo disperdere, ma anche solo svalutare.

Il musicista russo è molto amato dal pubblico e la sua attività in campo sinfonico è quanto di più vasto e multiforme possa esserci: le sue composizioni sinfoniche hanno varie forme ( (Ouverture, Fantasie, Serenate, Suite, Danze, ecc.) caratterizzate da una strumentazione molto complessa e dall’attenzione a temi e spunti del folclore musicale, non solo russo (si pensi anche al celebre Capriccio italiano).  Čajkovskij si dedicò alla composizione delle sue sei sinfonie a partire dal 1866 fino al 1893, anno della morte. Egli utilizzò la sinfonia come un contenitore in cui riversare il suo mondo romantico e sentimentale, allontanandosi spesso dai rigidi schemi imposti dal genere sinfonico e adattando di volta in volta la forma alle proprie esigenze. Se la Prima e la Seconda sinfonia sono le opere maggiormente legate alla tradizione russa per l’uso di materiali tematici popolari, la Terza risalta per la scrittura volutamente impegnata con il ricorso massiccio al contrappunto; la Quarta e la Quinta hanno forma ciclica adottando il principio del tema ricorrente, mentre la Sesta, infine, si distingue per il finale innovativo, inaspettatamente chiuso da un tempo lento - il canto del cigno del compositore -  che farà scuola ai sinfonisti successivi.

Daniele Gatti ha inaugurato dunque mercoledì scorso il ciclo con la terza sinfonia (detta Polacca dell’ultimo movimento) e con la quinta, uno dei capolavori assoluti del compositore.

La terza, composta nell’estate del 1875 ed eseguita per la prima volta nel novembre di quell’anno, è l’unica tra le sinfonie di Čajkovskij  in tonalità maggiore e ad avere un quinto movimento finale. È un’opera in cui mancano i grandi e fascinosi temi tipici del musicista russo a favore di elementi tematici più brevi e coincisi che servono all’autore per un diligente lavoro di contrappunto riscontrabile nel corso dei vari movimenti, in cui si insinuano in maniera più o meno evidente tempi di danza: dalle marce al valzer, fino alla famosa polacca conclusiva dal cui disegno ritmico prende vita una fuga altisonante. Elementi che la lettura di Gatti mette in piena luce con finezza e maestria, passando da momenti di raffinato cesello allo slancio del finale.

Se dunque la terza manca di un tema centrale e ricorrente, al contrario la quinta, eseguita per la prima volta nel 1888 sotto la direzione personale dell’autore riprende dalla Quarta di dieci anni prima  il principio ciclico dell'idea ricorrente, in modo ancora più sistematico:  uno stesso tema, collegato al destino, ritorna qui in tutti e quattro i movimenti a partire dall’introduzione, in una lugubre marcia; e dopo lunghe peripezie, attraverso i quattro movimenti, è proprio questo tema a concludere trionfalmente la sinfonia. Una conclusione dunque “positiva”, quasi una vittoria nei confronti del destino, abbastanza insolita nel pessimista e cupo  Čajkovskij.

Se l’esecuzione della terza è stata senza dubbio brillante, nella quinta la lettura di Gatti è senza dubbio travolgente. Il maestro, perfettamente assecondato da una orchestra straordinaria, evidenzia il lirismo dell’andante cantabile, l’eleganza del valzer de l’allegro moderato (terzo movimento) turbato dal rìtorno finale del tema del destino,  che apre totalmente trasformato anche l’ultimo movimento con il suo tono trionfale che ha fatto (e fa tuttora) storcere il naso a più di un critico, ma che con Gatti e l’orchestra del Maggio diventa un vortice che trascina all’applauso entusiasta.

Una grande interpretazione dunque, sia d’insieme che delle singole parti strumentali, che lascia facilmente presagire altre due stupende serate da non perdere assolutamente; mercoledì 28 giugno alle ore 20 la sinfonia n. 2 “Piccola Russia”, composta nel 1872 e revisionata nel 1879 un lavoro “di viaggio e d’evasione” di insolita serenità. Il titolo non è d’autore, ma fu proposto da un critico dopo la scomparsa del compositore per le melodie ucraine citate nel primo e nel quarto movimento; perché per “piccola Russia” si intendeva allora l’Ucraina, cosa che oggi appare quasi incredibile e persino una amar ironia.   Di tutt’altro tenore invece la quarta sinfonia (1876-78)  dedicata alla sua mecenate Nadezda von Meck e dominata dal tema del destino avverso.