Teatro Lirico di Cagliari

NERONE: al teatro lirico di Cagliari rinasce un capolavoro

Bellissima l'edizione della seconda opera di Boito per la regia di Fabio Ceresa e la direzione Francesco Cilluffo

di Domenico Del Nero

NERONE: al teatro lirico di Cagliari rinasce un capolavoro

foto di Priamo Tolu (per gentile concessione del teatro lirico di Cagliari)

In una catastrofe infernale, mentre Roma brucia, un Nerone sogghignante taglia la gola al suo citaredo. E così cala il sipario sul Nerone di Arrigo Boito, la produzione cagliaritana che ha finalmente restituito la dignità – e che dignità! – della scena alla seconda opera del poeta- musicista scapigliato, rappresentata per dieci spettacoli dal 9 al 18 febbraio

Uno spettacolo che si vorrebbe definire perfetto, per alcune semplici considerazioni. La prima è che Nerone è senza dubbio un ‘opera di una complessità straordinaria, purtroppo poco  (e quel poco di solito male) eseguita e quindi non certo familiare al pubblico operistico, anche a quello che vorrebbe andare oltre alle solite Violette e Mimì; con il dovuto rispetto, s’intende. Ma l’edizione cagliaritana ha veramente un pregio raro; quello di colpire e di poter piacere tanto allo spettatore che ne sa poco o nulla, quanto al boitiano più esigente e smaliziato, che è volato nel capoluogo sardo da tutta Italia per poter finalmente assistere all’evento.  La seconda è la perfetta sintonia tra regista e direttore d’orchestra, il profondo rispetto con cui si sono avvicinati all’opera con la consapevolezza di trovarsi difronte a un qualcosa di unico e davvero straordinario, comunque poi lo si voglia giudicare.

Un… dualismo dunque che questa volta non si è verificato per niente è quello direttore – regista: anzi, l’impressione è quella di una perfetta sintonia e convergenza di vedute, anche sull’autore e sul valore dell’opera.  Se il direttore Francesco Cilluffo, come si è visto nella precedente intervista,[1] accosta Nerone all’Ulisse di Joyce, il regista Fabio Ceresa non è da meno: “Secondo me Nerone rappresenta il testamento spirituale di una vita, quella dell’autore, dedicata all’arte. Ogni frase, ogni cellula musicale del racconto sottintende un bagaglio di conoscenze fuori dall’ordinario. Sono le pagine di Svetonio e del Nuovo Testamento  a offrire gli spunti principali del racconto, ma la visione che Boito porge di quel mondo è tutt’altro che nozionistica, sostenuta da un respiro totalizzante, scandita da un incedere quasi dantesco".[2]

Ottima osservazione, che fa giustizia sulle solite osservazioni sul nozionismo o alessandrinismo boitiano. Sicuramente Boito era uomo coltissimo e non c’è dubbio che i riferimenti di ogni tipo nel Nerone abbondino; basta leggersi il vecchio ma ben strutturato saggio di Luigi Pagano o la biografia di Jacopo Nardi  (oltre a studi più recenti che per fortuna sono oggi numerosi) per farsene un’idea. Ma il regista coglie perfettamente nel segno citando il nome di Dante, punto di riferimento imprescindibile per Boito, anche in quel Re Orso che giustamente Ceresa segnala tra gli antecedenti di Nerone, che potrebbe per certi aspetti definirsi un Re Orso senza nemesi, almeno nella parte musicata (perché nel quinto atto la Nemesi del sesto Cesare c’è e come). Di più; c’è una parola chiave che ricorre spesso in Boito, in riferimento soprattutto a Dante e a Shakespeare: visione.

Ecco: è precisamente la visione di Boito che Ceresa e Cilluffo, ciascuno nel proprio ambito ma in perfetto accordo, sono riusciti a rendere sul palcoscenico. Impresa tutt’altro che facile per un’opera come questa, ma senza dubbio perfettamente riuscita: qualsiasi futura edizione di Nerone (e ci spera che ce ne siano, oltre che essere auspicabilissime riprese di questa cagliaritana ) non potrà non tenerne conto, se vorrà cogliere, anche certo battendo vie diverse, il vero significato dal lavoro boitiano.

Ceresa non ha voluto, giustamente, osservare alla lettera le ricchissime didascalie del testo boitiano, ma ha preferito andare dritto al cuore della “visione” boitiana: una Roma nei suoi fasti imperiali, che oscilla tra l’epoca dei Cesari e quella degli anni trenta del secolo scorso; ma questo, è lui stesso che lo sottolinea, non per facili, scontate allusioni “mussoliniane”; c’è invece “una commistione tra antichità e Novecento”. Il regista non si è limitato a riprodurre il mondo classico, ma a far vedere come quell’ideale venisse visto ai tempi di Boito. Il tutto però sempre nel massimi rispetto del testo perché, sottolinea Ceresa, nel Nerone “  ogni gesto è meticolosamente prescritto, la parola cantata rimanda puntualmente a quanto sta accadendo in scena e immaginare di eludere trama e indicazioni diventa impraticabile.”

Il risultato è una Roma “bizantina” e decadente: sontuose e monumentali le scene di Tiziano Santi – con il Circo Massimo che è il “Colosseo quadrato” dell’Eur e il tempio gnostico di Simon Mago identificato nella Basilica dei Santi Pietro e Paolo; i costumi di Claudia Pernigotti spaziano dalla classicità alla divisa tardo ottocentesca del Cesare, con una curiosa identificazione tra gladiatori e calciatori che ha fatto arricciare il naso a qualcuno ma che rientra perfettamente nella logica di presentare i  circentes del passato remoto e recente, nonché nel presente, se si eccettua un affettuoso e in fondo doveroso omaggio a Gigi Riva; le luci cupe e corrusche di Daniele Naldi e le affascinanti e conturbanti coreografie di Mattia Agatiello. La regia è poi anche molto attenta ad alcuni significativi particolari: L’abito di Simon Mago che simula il suo finto volo, la scena, importantissima alla fine del terzo atto, in cui Fanuel “beve dal calice”, prima di essere portato al supplizio. I movimenti in scena perfettamente adeguati al contesto e ai personaggi: più ieratico Fanuel, Asteria prigioniera della suo furor amoroso, il “balletto tentatore” intorno a Fanuel mentre Simon Mago tenta di corromperlo.

Perfetta la sintonia con il golfo mistico, dove Francesco Cilluffo dimostra davvero la passione e la precisione con cui si è immerso in quest’opera. Il maestro padroneggia perfettamente un organico orchestrale e corale di una complessità impressionante e dà vita a una partitura che si dimostra veramente di una ricchezza, di una varietà e di bellezza notevolissime. Cilluffo ha compreso benissimo che L’obiettivo di Boito è creare la massima corrispondenza tra il suono e la parola; di qui la massima cura del dettaglio. Ad esempio alcuni passaggi, come  lo stupendo amor che non uccide amor non è del primo atto, in cui la passione e la disperazione di Asteria sono affidate molto di più al passaggio strumentale, che sembra riprodurre il furor dell’amore, che non al canto;  l’aria di Simon Mago ecco il magico specchio (atto II) in cui una melodia beffarda e sinuosa riproduce il carattere truffaldino del personaggio; l’accompagnamento strumentale di Queste ad un lido fatal (atto I) che descrive il carattere di Nerone, istrione, vile e mitomane nello stesso tempo, sono tessere di un mosaico che solamente chi ha studiato non solo la partitura, ma anche il suo autore, i suoi tempi e la sua cultura può riuscire ad evocare con tanta forza, trasmettendo emozioni veramente indimenticabili.  Se mai continuerà la riscoperta musicale di quest’opera, buona parte del merito sarà sicuramente suo.   Di ottimo livello anche l’orchestra e il coro del teatro lirico di Cagliari, che hanno perfettamente assecondato il maestro.

La presente recensione si riferisce al secondo cast, che è stato all’altezza della situazione: il Nerone di Konstantin Kipiani  risponde al personaggio da un punto di vista scenico, vocalmente si destreggia bene nel registro acuto  ma in quello centrale non riesce sempre a emergere nel  lussureggiante tappeto sonoro dell’opera; Rachele Stanisci si cala nel ruolo di Asteria con intensa precisione drammatica e con una voce di buon volume e ricca di pathos, riuscendo a passare in modo credibile dalla menade ossessionata da Nerone alla donna affascinata dalla dolcezza del messaggio cristiano; il Simon Mago del baritono Abramo Rosalen  aveva davvero caratteri…mefistofelici e un bel timbro discretamente brunito; Il Fanuel del baritono Roberto Frontali si presenta con un’ottima autorevolezza sia scenica che vocale; buon fraseggio, voce bene impostata e discreta dizione, capace di passare da momenti di grande dolcezza alle fenomenali invettive contro Simon Mago; Mariangela Marini è stata una Rubria  dolce e affascinante.  Notevoli anche Il Tigellino di Alessandro Abis, il  vispo Gobrias di Vassily Solodkyy e gli altri ruoli minori.

Qualcuno forse storcerà il naso, ma questa edizione ha restituito alla seconda opera di Boito la dignità del capolavoro. Il tempo dirà se e in quale misura tutto questo verrà recepito, ma questo è sicuramente un grande merito di un teatro che da tempo si dimostra coraggioso e capace di scelte controcorrente, che gli fanno onore perchè anche e forse soprattutto questo è fare cultura.

La presente recensione si riferisce alla recita del 15 febbraio

 



[2] Stefano VALANZUOLO, “NERONE: l’elogio estremo dell’ideale classico. Conversazione con Fabio Ceresa” in Arrigo Boito, NERONE  ( programma di sala), teatro lirico di Cagliari, Lirica e Balletto 2024,  pp. 59-63; p. 59.  Tutte le citazioni del regista sono riprese da questo testo.

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    4 commenti per questo articolo

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