Maggio Musicale Fiorentino

SALOME: un grande inizio per l'87° festival

Il capolavoro di Richard Strauss entusiasma il pubblico fiorentino. Affascina la regia di Emma Dante, entusiasmano la protagonista Lidia Fridman e il direttore Alexander Soddy

di Domenico Del Nero

SALOME: un grande inizio per l'87° festival

Foto di Michele MONASTA - Ufficio stampa MMF

Un sentore di innocenza e di mistero? Sicuramente la Salomè di Oscar Wilde (1891) magistralmente musicata da Richard Strauss, di “innocenza” ne ha ben poca. C’è molto, invece, di quella atmosfera decadente di lusso e lussuria, di fiori di morte ed estenuati languori, prodotti un po’ in tutte le arti nella serra perversa ed affascinante del decadentismo.

Il Maggio Musicale Fiorentino ha scelto proprio Salome di Richard Strauss per inaugurare la sua 87° edizione.[1] Uno spettacolo che resterà memorabile perché, a parte le solite note a margine, scena e golfo mistico hanno marciato veramente all’unisono per uno spettacolo che inchioda lo spettatore dall’inizio alla fine.

La regista Emma Dante aveva parlato di una visione “onirica” dell’opera, “un viaggio attraverso il sogno e l’incubo” di Jochanaan e di Salome stessa.  Se la prigione del profeta è mutuata dal “Giardino dei mostri” di Bomarzo, con la maschera dell’orco e inghiotte e restituisce Jochanaan, le guardie e altri onirici personaggi, l’atmosfera decadente dell’opera è resa perfettamente evidenziando un tocco di sadismo che sarebbe piaciuto a Mario Praz: nei bellissimi costumi lussureggianti con le guardie abbigliate come pupi siciliani, con i contrasti cromatici (soprattutto rosso nero) dei bellissimi costumi di Vanessa Sannino e le ottime scene di Carmine Maringola; e naturalmente, con i movimenti scenici, le coreografie, lo studio dei personaggi: un Jochanaan ieratico e chiuso nella sua purezza, Erode ed Erodiade come sorta di parodia della regalità, ma soprattutto il primo corrotto e vizioso quanto basta. Molto efficace l’ingresso in scena dei due “coniugi” seduti ad un tavolo di un luculliano banchetto, e l’inquietante scena finale che vede il giardino trasformato in una stanza insanguinata in cui pendono numerosissimi lacci, simili ai capelli del profeta; a questi poi Salome verrà legata e giustiziata. Molto suggestiva anche la coreografia di Silvia Giuffrè per la danza dei sette veli il disegno di luci di Luigi Biondi era perfettamente funzionale e contribuiva a creare l’atmosfera onirica.

Il maestro Alexander Soddy, alla guida dell’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino come sempre in piena forma, ha offerto una lettura di grande fascino e interesse. In una intervista il direttore aveva evidenziato quella che è la grande difficoltà e la grande sfida di quest’opera: “L’orchestra deve suonare forte, forte, forte, senza tregua (…) se davvero tutti ci dessero dentro come lui prescrive, sommergerebbero i cantanti”. Proprio quello che Soddy è riuscito invece ad evitare, senza per questo “sacrificare “l’imponente organico orchestrale previsto dalla partitura. Il maestro riesce perfettamente ad equilibrare il suono lussureggiante e poderoso dell’orchestra con le voci senza soffocarle, ma anche ad evocare le atmosfere del dramma (sensuale, drammatica, allucinata) che animano quest’opera straordinaria. Strauss giunge a Salome dopo aver scritto vari poemi sinfonici, in cui la capacità “evocativa” e sinestetica della musica viene sfruttata al massimo; e questa caratteristica si ritrova anche nell’opera e non solo in quello straordinario brano sinfonico che è la danza dei sette veli.

Il soprano Lidia Fridman è stata sicuramente un grande protagonista: chiamata a sostituire la prevista Allison Oakes dopo il debutto nella donizettiana Anna Bolena, la Fridman si mostra del tutto a suo agio nel ruolo, grazie a una voce di ottimo volume, omogenea e ben temprata in tutti i registri, che riesce a passare senza difficoltà il suono dell’orchestra . Una Salome drammatica e sensuale sia sul piano vocale che su quello scenico, che ha giustamente entusiasmato il pubblico. Buono nel complesso il Jochanaan del baritono Brian Mulligan, personaggio ieratico ma anche tormentato, anche se vocalmente non molto sostenuto. Molto ben caratterizzato l’Erode del tenore Nicolai Schukoff: beffardo e vizioso, tipico personaggio decadente, sul piano vocale  presenta una perfetta dizione e piena padronanza del ruolo. Ben calata nel ruolo e vocalmente sicura anche l’Erodiade di Anna Maria Chiuri, mentre Eric Fennel è un Narraboth più efficace scenicamente che sul piano del canto.  Buone nel complesso anche le parti minori.

Teatro pieno ed entusiasta, che ha applaudito a lungo e con vigore, soprattutto la protagonista e il direttore. Ultima recita, assolutamente da non perdere, domenica 27 aprile ore 15.30.

La presente recensione si riferisce allo spettacolo del 23 aprile.



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