Amelia Earhart
Nessuno ha mai voluto credere che fosse morta
La Signora dei cieli che nessuno ha mai voluto credere morta
di Angelo Iacovella
La signora dei cieli
Ogni pilota degno di questo nome, mentre impugna
dolcemente la cloche, librandosi tra le nuvole, guarda fisso l’orizzonte di
fuoco che è dentro di sé. Amelia sapeva, sin dall’inizio, che la sua morte
avrebbe sfoderato la faccia e le ali di cera di un Icaro in avaria. Questo non
la trattenne, beninteso, dall’attraversare l’Atlantico, con il vento a favore,
a bordo di un Fokker F7. Ci impiegò, se non ricordo male, 21 ore e un pugno di
minuti.
Correva l’anno 1928 e agli Americani, con in testa il presidente Calvin
Coolidge, al suo trionfale ritorno dall’Inghilterra, non parve vero di poterle
affibbiare lo scettro di «Signora dei Cieli». Ma la sua specialità era il volo
solitario. Nel 1935, da Honolulu a Oakland, California, con beata incoscienza,
mentre il suo matrimonio andava letteralmente in pezzi, consolidò il primato.
C’è gente, specialmente in Kansas, che in cuor suo non si è mai rassegnata
all’idea che un mito dell’aeronautica come Amelia Earhart possa aver fallito.
Ai più non dispiace pensare che, quella mattina di luglio del 1937, prima che
precipitasse nel Pacifico, mentre dalla radio del suo biplano partivano segnali
di soccorso, un qualche Dio, con il pallino dell’aviazione, si sia intenerito
alla vista di un casco di boccoli biondi.
Per oltre un mese, la marina degli Stati Uniti fu – senza esito – incaricata di
setacciare la zona, alla disperata ricerca dei rottami dell’aereo. La
lasciarono in pace quando un ammiraglio, stanco di cercare l’ago nel pagliaio,
mise in giro la voce che era stata rapita dai Giapponesi.