Editoriale

Il futuro della destra? Scomparire dopo la grande abbuffata

Si è perpetrata una rivoluzione distruttiva senza prospettive di ricostruzione, finite le ideologie, travolte le idee, cancellati i punti di riferimento resta solo cercare ricominciare

Giovanni F.  Accolla

di Giovanni F.  Accolla

osa ne sarà della destra italiana? Cosa avverrà dopo il responso delle urne? Cosa faranno tutti quegli ex deputati e senatori rimasti fuori dalla contesa elettorale? E’ un disastro,  nessuno può legittimamente rispondere a queste domande legando il proprio discorso con un filo di certezza. Poca è la speranza, sopito, nei più, perfino il desiderio. Mentre arriva la buona notizia sulla pace fatta tra Francesco Storace e Giorgia Meloni in relazione alla questione Lazio, s’impone, comunque, una riflessione generale sul futuro di un popolo e della sua storia.

Mi metterei alle spalle la questione Gianfranco Fini, anche perché, assodata la sua massima colpa nella liquidazione del più grande partito di destra (tanto s’è auto archiviato), bisogna andare avanti, individuare una rotta, recuperare gli uomini validi, rimettere in piedi un progetto che sappia coniugare con coerenza le ragioni del passato con le istanze della modernità. Probabilmente senza più mimetismi, senza più nascondersi dietro al suffisso “centro” per dirsi di “destra”, oggi si può ancora mettere in piedi una limpida e onesta offerta politica. C’è spazio, forse, per una destra scevra da nostalgie ma che sappia interpretare e spendere nel presente i valori complessi e sempre attuali della sua tradizione.

Per la sinistra il confronto politico da oltre sessant’anni non si è emancipato da logiche becere e inattuali. Da una parte i buoni, i figli dei vincitori e quindi moralmente assolti da massacri di massa e vendette dei padri protratte senza tempo, dall’altra i vinti e i reietti a vita. E’ ora che la sinistra si evolva se vuole essere rispettata, è ora che diventi davvero democratica. Ma è forse soprattutto l’ora che la destra - dopo il suo lungo e tortuoso percorso politico fatto di congressi all’acqua di Fiuggi - si riappropri del ruolo che le spetta. La destra è l’unica legittima alternativa alla sinistra e agli inciuci e alle capriole che questa è pronta a compiere, oggi ancor più di ieri, pur di avere una breve possibilità di governo.

Mentre il comunismo è un’ideologia, per quanto logora e ridotta al feticismo, sempre capace di offendere e seminare odio, quella della destra è un’idea (ripeto: un’idea) da spendere nella vita. Un idea che non esclude, ma abbraccia chiunque la voglia far sua. Qualcuno dovrà prendersi la briga di tornarlo a spiegare, di tornare nelle piazze, di tornare, in una parola, alla politica.

Una classe dirigente purtroppo attratta dalla logica del potere, che ha senza molti scrupoli barattato quest’idea per una carriera, è stata senza dubbio responsabile dell’attuale disperante evaporazione. Troppe volte lo abbiamo detto: gli uomini e le donne di destra non sono stati capaci di dare (o mantenere) un’identità nelle alleanze. Quella classe dirigente ha sperato che il banchetto al quale era stata invitata fosse un miracolo senza fine, che neanche le nozze di Cana! Poi è successo che il padrone di casa, a torto o a ragione, scarseggiando le scorte, l’abbia accompagnata alla porta, garbatamente. E amen. Lo sa bene chi è rimasto o ha provato a rimanere seduto a tavola. E, a tal punto, non me ne voglia nessuno, ha fatto meglio chi s’è messo in proprio. Al meno, qualunque sia il risultato delle urne, ci sarà qualcosa, più o meno significativo, da cui ripartire. Ricordo, per il gusto della storia (e forse del masochismo), le elezioni politiche del 1948: il primo test nazionale per il Movimento Sociale, quando ottenne il 2.01 per cento dei voti alla Camera dei deputati, eleggendo sei deputati: Almirante, Roberto Mieville, Michelini, Giovanni Roberti, Guido Russo Perez e Luigi Filosa; e lo 0,89 per cento al Senato della Repubblica, eleggendo un senatore: Enea Franza.

Da più parti si dice che bisogna andare oltre gli steccati del Novecento, ne convengo, ma sono altrettanto convinto che un’organizzazione politica abbia bisogno di un’identità chiara, riconoscibile. Quando i candidati alle primarie della sinistra hanno messo in piazza i loro rifermenti culturali (lo hanno chiamato Pantheon, senza sapere bene cosa fosse) e sono usciti nomi improbabili, da Mandela a Giovanni XXIII, sono saltato sulla sedia: fossi di sinistra, mi sono detto, mi vergognerei di questa classe dirigente contemplatrice del vuoto che alberga in loro stessi! Beh, ora, ripensandoci, sarei curioso di sapere quali risposte avrebbero dato alcuni leader di destra. In cuor mio ancora spero in responsi migliori, più convincenti e meno diluiti nell’acquoso brodo dell’indefinito in cui galleggia la politica (e la società) italiana e in cui - ne sono convinto - la sinistra presto annegherà.

Parlando di Pantheon, di politica e di destra, credo che essa per rinascere debba finalmente fare i conti, ma per davvero, con il fascismo, che è, al di la delle bugie che fin ora molti suoi esponenti hanno raccontato, l'unica esperienza unificante prima di Berlusconi. Il suo lascito è duraturo e incancellabile nella storia d'Italia, e, inevitabilmente, nella storia, nella cultura, nella psicologia della destra italiana. Bisognerà distinguere tra la “repugnanza” crociana verso il fascismo e l’imbarazzo e la  falsa coscienza che le hanno impedito di parlare del regime. Ma andiamo oltre. Il terreno è minato, anche se il momento presto potrebbe essere quello giusto.

Ripartire dunque, magari lasciando stare le gite a Itaca (che pure, a mio avviso, hanno il loro fascino non solo romantico), rimanendo in patria, cercando di conservare quel che c’è di buono per rielaborarlo in chiave prospettica. Con molto pragmatismo, forse eccessivo, mi si dirà, la legislatura che andremo ad affrontare, credo non porterà nulla di buono e soprattutto di duraturo.

Seppure il Pdl (come tutto sommato spero) terrà un livello di rappresentanza importante in parlamento (credo da solo avrà il suo buon 20 per cento e presumibilmente sfiorerà, con i vari alleati, anche 30 per cento), la legislatura avrà due sbocchi: o l’alleanza del Pd con il gruppo Monti o la grande coalizione.

Né nell’una, né nell’altra ipotesi la destra avrà una qualche rilevanza degna di questo nome. Per altro, il nuovo parlamento avrà come obiettivo prioritario l’elezione del nuovo capo dello Stato ed è facile prevedere accordi di ogni tipo, trasversalità tanto acrobatiche da imbarazzare ogni schieramento. Poi, probabilmente, il nulla. Una manciata di mesi e si tornerà al voto con un Pdl straziato da liti interne e cicatrici insanabili: Alfano da una parte Verdini dall’altra e la destra chissà? Senz’altro altrove. Berlusconi ci ha abituato a rimonte impossibili per i più, e a una longevità degna degli highlanders, ma non è cattiveria sospettare che la legislatura che ci attende sarà il suo ultimo giro da leader. Sospetto che se a Monti non andranno bene i suoi progetti e se rimarrà in politica, proverà a divenire interprete del blocco sociale e dell’elettorato di riferimento del Pdl, e ancora la destra sarà esclusa.

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