Editoriale

Un Ministero, ma di quale cultura? Desiderabile ma impraticabile

Per un vero ministero della cultura, occorrerebbe prima di tutto il rispetto per la cultura e qualcuno che sapesse esercitarlo oltre le parti

Gianfranco de Turris

di Gianfranco de Turris

l governo che uscirà da queste complicate votazioni farà sua la proposta coraggiosamente esposta da Roberto Esposito ed Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 23 gennaio, all’inizio della campagna elettorale? Dico coraggiosamente perché quando si pensò di istituirlo, dall’epoca di Spadolini sino alla sua effettiva creazione con il Governo Prodi del 1998, lo si definì “dei Beni culturali” e poi “dei Beni e delle Attività culturali”, l’attuale Mibac, perché si ebbe paura di chiamarlo semplicemente “della Cultura”: a distanza di oltre quarant’anni incombeva ancora il famoso Minculpop, il Ministero della Cultura popolare di Alfieri e Pavolini. Adesso trascorsi settant’aani forse la paura è passata, come scrivono i due professori.

Ma per far cosa? In teoria quel che hanno scritto Esposito e Galli della Loggia son tutte cose condivisibili: dietro la nostra crisi politica, economica e sociale “c’è prima di tutto una crisi di identità che è in definitiva una crisi culturale”, dato che è “venuto meno quel fattore costitutivo di ogni identità personale e collettiva di ciò che lega e, legando, tiene insieme cose differenti”, cioè il legane tra il nostro passato storico e il presente/futuro, e quello tra le parti diversissime che hanno realizzato la nostra storia nazionale, al punto che “non sappiamo più da dove veniamo e che cosa siamo, e quindi neppure dove dirigere il nostro cammino” (sembra una edizione riveduta e corretta dei famosi interrogativi di Enrico Berlinguer riguardo il PCI, applicati all’intera nazione). Per di più in una Europa sovranazionale che sottrae sovranità ai singoli Stati che la compongono, dicono i due docenti, “la definizione di un’idea del Paese sembra sempre più necessaria”. Sicché in una nazione come la nostra che  sta dimenticando e penalizzando la sua risorsa più grande, la “cultura” nella sua accezione più ampia, facendo andare in malora musei e biblioteche, paesaggio e siti archeologici, archivi e memorie storiche, un Ministero della Cultura avrebbe un ruolo essenziale da svolgere.

Benissimo, d’accordo, ma resta un dubbio di fondo: quale sarà poi la pratica attuazione di questa idea sensata? Cosa effettivamente farà e come si comporterà, il nuovo Ministero? Ipotesi su cui tutti i successivi interventi apparsi sul quotidiano sono stati d’accordo, a cominciare da Mario Monti per finire a Walter Veltroni, che fu ministro nel 1998.

Leggendo l’intervento sul Corriere, dopo un primo momento di spontanea adesione, mi sono sorti dei dubbi che poi ho visto sintetizzati in un efficace e conciso intervento di Marcello Veneziani su Il Giornale del 27 gennaio,e che qui amplierò. E’ proprio l’aspetto pratico ad inquietare, ammaestrati come siamo dalle esperienze passate.

Premesso, come ho scritto spesso negli ultimi anni,che è dalla cultura in senso lato che si deve ripartire, anzi da dove dovrebbe ripartire il centrodestra considerati gli errori, le scemenze, le dimenticanze e addirittura le ignavie, le viltà e i tradimenti di cui ha dato prova nei trascorsi vent’anni a livello amministrativo centrale e locale, quali possono essere le controindicazioni per un vero e proprio Ministero della Cultura sul tipo di quello delineato da Esposito e Galli della Loggia?

Il fatto, purtroppo, che una cosa è la teoria un altro la pratica, una cosa una impostazione ideale un altra la realizzazione concreta, e quel che abbiamo visto dal 1994 ad oggi sconsiglierebbe di creare un Ministero di tal fatta. Ma perché?

Perché esso dovrebbe andare in mano ad una personalità veramente super partes di tale autorità intellettuale e caratura morale da non farsi condizionare non solo da una politica politicante intrusiva e arrogante, ma soprattutto da una egemonia culturale di sinistra mai effettivamente scomparsa o attenuata (pur se ad un certo punto ve ne erano le premesse ottimali), ed anche da una atmosfera ideologica sempre più intossicata, dove non si cerca finalmente un bilanciamento delle varie posizioni o correnti ideali presenti nella nostra nazione, ma si impone ancora e sempre una violenta soperchieria “progressista” per la quale chi la pensa in modo diverso resta comunque un “nemico” da silenziare, emarginare, schiacciare. Questo, Esposito e Galli della Loggia lo sanno benissimo perché gli esempi sono pressoché quotidiani. Il compito fondamentale di un Ministero della Cultura sarebbe dunque quello di farla diventare finalmente pluralista, accettando e promuovendo tutte le sue varianti e le personalità che le rappresentano.

L’esperienza di un decennio complessivo circa di centrodestra al potere ha dimostrato come esso sia sempre rimasto succube di questa egemonia e di questa atmosfera, di come sia stato difficile se non impossibile riequilibrare la situazione, di come si sia riusciti con grande difficoltà a proporre ad esempio film controcorrente: quello sulle foibe e quello ispirato a Il sangue dei vinti di Pansa sono risultati spettacoli edulcorati, piegati a mille compromessi imposti dall’alto, e pur se coraggiosamente realizzati alla fine boicottati fra mille polemiche. Vale a dire, il centrodestra nazionale e locale (qui con rare ed encomiabili eccezioni) è stato ingabbiato dalle critiche dei partiti di sinistra e dalla grande stampa progressista, ricattato su tutti i piani ideologici possibili ed immaginabili ogni volta che pensava o proponeva di realizzare qualcosa di anticonformista rispetto ai canoni vigenti. In questi canoni è dunque rimasto, addirittura esagerando. E di certe prodezze se n’è pure vantato! Qualcuno in questa smemorata nazione ricorda le “restituzioni” della stele di Axum e della Venere di Cirene, effettuate in pompa magna con tanto di sottosegretari e sovrintendenti al seguito, volute dalla destra del centrodestra?

Qualcuno ricorda la chiusura dell’ISIAO, ex ISMEO, il glorioso Istituto per l’Africa e l’Oriente, voluta da Tremonti? Qualcuno si ricorda, agli esordi del centrodestra vent’anni fa, la paura di designare a posti importanti nomi come quelli di Accame, Isotta e Buscaroli perché “troppo di destra”? o le occasioni culturali perdute quando alla Regione Lazio c’era il centrodestra guidato da Storace? Quindi, un Ministero della Cultura in mano al centrodestra non servirebbe affatto a riequilibrare una situazione complessiva sbilanciata sempre pesantemente sulla mentalità e il conformismo de sinistra.

Un Ministero della Cultura come quello immaginato da Esposito e Galli della Loggia in mano al centrosinistra (e magari ad un ministro dell’UDC o di SEL) sarebbe ancora peggio perché contribuirebbe a consolidare ed eternizzare lo status quo.

Ci vorrebbe al suo capo – lo si è accennato prima - un personaggio autorevole, equilibrato, equidistante che non fosse coinvolto, ad esempio, nel furor antifascista becero ed irrazionale che continua a travolgerci, e che non avesse paura di dar vita a iniziative controcorrente allo scopo di farci superare un dopoguerra che dura ormai da quattordici lustri come stanno a dimostrare le isteriche reazioni alla frase di Berlusconi (27 gennaio) secondo cui Mussolini commise un fatale errore con le leggi razziali “ma fece anche qualcosa di buono”.

E pensare che ci sono illustri docenti, storici, classicisti come Luciano Canfora che si possono permettere di dire e scrivere che Stalin ha avuto le sue colpe ma che “fece qualcosa di buono”… Mai, da quel che ricordo, è stato aggredito in coro come il Cavaliere. Almeno Mussolini non ha sulla coscienza i milioni di morti che ha Stalin, compresi i comunisti italiani fuggiti in URSS dall’Italia fascista e uccisi con la complicità di Togliatti.

Bastino pochi esempi. Il neo Ministero della Cultura, visto che in passato il Mibac ha finanziato con milioni di euro film tratti dai romanzi di Veltroni, tutti in finiti clamorosa perdita con spreco di denaro pubblico,  finanzierebbe o no il film Il segreto di Antonello Belluco, che si basa su una terribile e rimossa strage partigiana (centinaia di vittime) che non si riesce a realizzare perché tutti i finanziatori hanno ritirato appoggi e finanziamenti per “paura” o motivi ideologici, al punto che si sta facendo una raccolta di fondi tramite internet per realizzare almeno il dvd? Pur basandosi su fatti veri e documentati è forse espressione di quel deprecabile “revisionismo” contro cui si è scagliato, facendo da contraltare a Berlusconi, Giorgio Napolitano, presidente di tutti gli italiani?

Il nuovo ministro avrebbe questo coraggio? o no? In nome della verità storica, non certo della propaganda, se la sentirebbe di aiutare un film che dimostra come ci siano paurose e inconfessabili zone d’ombra nella gloriosa epopea resistenziale? Oppure cederebbe anche lui al ricatto antifascista? Oppure anche lui sottoscriverebbe la famosa frase (mi pare di Pajetta) “tra la verità e la rivoluzione scelgo la rivoluzione”? Oppure farebbe sua la definizione di “Male assoluto” copyright del genero di Tulliani? E quindi sarebbe d’accordo che la Storia “ufficiale” non si tocca neanche se nuovi documenti, testimonianze, prove impongano che essa si debba riscrivere? Avallando così una “cultura di Stato”?

Il punto essenziale è tutto qui. Poiché una personalità del genere non credo esista (a meno che non si pensi proprio a Esposito o a Galli della Loggia),  ritengo che un Ministero della Cultura con i poteri e gli scopi pensati dai due professori, non sia proprio il caso di attuarlo. Perché imporrebbe appunto quella “cultura di Stato” (peraltro paventata nella loro proposta) che consoliderebbe in eterno una egemonia ideologica e non mirerebbe a coinvolgere quelle “diversissime componenti” presenti nel nostro Paese, anzi le emarginerebbe sempre di più, senza mai tentare non dico una mitica “pacificazione”, ma almeno una reciproca “accettazione”.

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    4 commenti per questo articolo

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