Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Sono pochi giorni che è trascorso l’anniversario, il quarantesimo, dalla scomparsa di John R. R. Tolkien.
È egli a tutti troppo noto, per cui del tutto superfluo io ricordi qui la sua vita e le sue opere.
Tutti avranno almeno visto i film tratti da “Il Signore degli Anelli” e adesso da “Lo Hobbit”; un po’ meno avranno letto i romanzi dai quali essi sono stati tratti; ancor più rari saranno coloro che hanno affrontato il Tolkien saggista, professore di linguistica e conoscitore del Simbolo.
Però se ne parla, si cita, se ne disserta come se. Insomma, la figura di Tolkien tanto “a destra” come da qualche anno anche “a sinistra” è “trendy”, fa “cool”.
Tolkien, prima visto come un negativo esempio di letteratura “fallocratica”, “filofascista” e poi recuperato in “area democratica”, dopo essere passato attraverso il suo bravo momento “new age”, hippy, naturalista ecologista e libertario.
Continuo a voler pensare che J. R. R. T. e la sua opera sia stato molto più di tutto questo, e che nessuna di tali categorie, o di altre, lo possa esaurire nella sua ristrettezza e limitatezza.
Tolkien, come altri scrittori, è un “inventore di mondi” con il preciso dettaglio del filologo e, se le ragioni anagrafiche e geografiche lo avessero consentito, sarebbe di certo ascrivibile a quel movimento artistico sì, ma anche letterario, che lo precedette di alcuni decenni e che fu la “Confraternita Preraffaellita”.
John comunque è debitore a Ruskin, Peter, Morris e “compagnia” perchè senza il loro lavoro, nè quello da lui stimatissimo di Rucker Eddison e di Lord Dunsany, non vi sarebbero mai state le atmosfere dei suoi romanzi.
Egli ha saputo lavorare come un antico artigiano nel solco già tracciato della Tradizione, reinventando laddove necessario, lasciando inalterato nei casi in cui tutto doveva restare così com’è. Come fecero Rossetti, Millais e Burne Jones.
E così come i dipinti della “Confraternita” vanno saputi leggere in dettaglio nella loro tessitura simbolica che va oltre la tela, altrettanto è stato fatto negli anni sull’opera dello scrittore di Oxford.
Non sempre con esiti felicissimi in verità, così come avviene puntualmente con tutte le “icone” culturali.
Mi ha sempre lasciato alquanto perplesso non soltanto la disinvoltura con la quale venga riportato a seconda degli interessi politici o culturali ma, per esempio, l’utilizzo di sfruttamento accanito fatto dagli stessi eredi di Tolkien sui suoi lavori.
Mi aspetto sempre più il rinvenimento di una lista della spesa redatta dallo scrittore, magari in “elfico” o più semplicemente in versi dai quali ricavare un volume nuovissimo per il mercato editoriale mondiale.
Nessuno credo, per esempio, abbia mai indagato i rapporti esistenti nella letteratura di Tolkien , in opere come “Sir Gawayne ed il Cavaliere Verde”, con la letteratura “Ermetica” ed Alchemica del Primo Rinascimento. Eppure esistono.
O anche quale influenza e conoscenza della stessa abbia avuto su di lui la “Musica”, il “Suono” come Antico mezzo di trasmissione del Mito e della comunicazione con l’Alto e verso l’umano.
Tutti troppo impegnati a dare dell’opera tolkieniana una valutazione socialista o nazionalista, libertaria o reazionaria. Tutti, o quasi, come spesso avviene , troppo intenti a guardare il dito quando il saggio indica la luna.
Detto tutto ciò, di J. R. R. se ne parlerà e scriverà ancora a lungo e per molti anni a venire, in modi più o meno scontati, banali, noiosi o forse troppo innovativi.
Nell’attesa che qualcuno smetta gli adusati panni del difensore e dell’attaccante, dal mio canto, riprendo la lettura di Ariosto e Rabelais.
Continuo ad andare in cerca “di un grande Forse”.
Inserito da LS il 25/09/2013 16:31:34
E che dire di Perla e Sir Orfeo? E della metafisica del Silmarillion? Ma si.. continuino pure a pensare alle bandiere, alle etichette, e a "guardare il dito".. non meritano di scoprire che c'è anche "altro"...
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