Parla Valentuomo

Piero Ostellino per  «Corriere della Sera» 1 ottobre 2013

L'esperienza insegna che i «movimenti di opinione» i cui aderenti manifestano tutti le stesse convinzioni, persino con le stesse parole, non sono mai un fatto spontaneo, ma sono sempre adunate organizzate da qualcuno per qualche finalità politica.
Internet — che dovrebbe essere palestra di libertà e di civile discussione — è diventato, invece, il luogo del fanatismo e dell'intolleranza dove risorge il totalitarismo. Scatta la parola d'ordine — «diffamate, diffamate, qualcosa succederà» — e il linciaggio parte nei confronti di chiunque non stia al gioco. Il liberalismo è il vero obiettivo di un certo fanatismo antiberlusconiano. 
Nella mia rubrica Il Dubbio avevo chiesto ai liberal di casa nostra di pronunciarsi sul fanatismo antiliberale. L'appello è caduto in un silenzio significativo. Se ne è fatto, invece, portavoce un giornalista di destra, Marcello Veneziani, mostrando che non occorre proclamarsi «laici, democratici, antifascisti» per essere per bene. Volendola mettere giù dura, è se mai vero il contrario: i maggiori intolleranti, e i più accaniti propalatori di fanatismo, sono spesso proprio certi laici, democratici, antifascisti di professione. Non voglio mettere a tacere nessuno. Le opinioni restano opinioni, comprese quelle violente fin che non diventano comportamenti delittuosi; e inviolabile è il diritto di esprimerle. Vorrei solo che la situazione suscitasse un minimo di riflessione e chi di dovere ne prendesse nota. Provo a darne un'interpretazione in chiave storiografica. 
La defascistizzazione non è stata realizzata, e ancora non la si perpetua, da democratici e attraverso principi di tolleranza e di libertà, ma da fascisti che, col 25 luglio 1943, avevano solo cambiato camicia. I metodi sono para-fascisti. Così, parafrasando Flaiano, l'antifascismo è una forma di fascismo; ne è la prosecuzione. Per ora, l'obiettivo delle campagne di aggressione contro chi non si adegua al conformismo «politicamente corretto» è duplice. Primo: convincere i responsabili dell'informazione che non è editorialmente conveniente consentire la presenza sui loro media anche solo di un minimo di cultura liberale. Secondo: spingere ai margini di chi fa opinione i quattro gatti liberali e convincerli ad abbandonare la partita. È evidente, infatti, che, se i quattro gatti liberali scrivessero solo sui media berlusconiani, i giochi sarebbero fatti; si potrebbe dire che il liberalismo è adesione al berlusconismo. Il disimpegno culturale e morale della grande informazione è, a suo modo, complice di tale disegno. Personalmente non penso, e l'ho scritto, che il berlusconismo sia una versione, per quanto pasticciata, del liberalismo. Rimane una forma di leaderismo populista che si oppone alla sinistra. Difendo, però, il diritto a essere berlusconiano, e di professarsi tale, di chi lo sia.


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