Un Rossini del XX secolo?

Firenze: al Maggio Musicale un cappello …travolgente!

Al Teatro Comunale, l’opera più celebre, Il cappello di paglia di Firenze, in scena da oggi, martedì 3 dicembre, sino a martedì prossimo

di Domenico Del Nero

Firenze: al Maggio Musicale un cappello …travolgente!

Un Rossini del XX secolo? L’affermazione può apparire – e per certi aspetti lo è – un’iperbole. Del resto, ai più il nome di Nino Rota, ammesso che dica qualcosa, si collega assai più facilmente con il set di Fellini che con il palcoscenico operistico. Del resto, un tempo il copione era questo: nel Novecento in Italia c’era Puccini. Morto lui ? Mascagni, Giordano …. Manco a parlarne. La “generazione dell’Ottanta”, Respighi  etc.?  Meteore sonore. In compenso, a riportare la luce,  vennero le “avanguardie” ….

Un copione che finalmente  comincia a entrare in crisi, ed ecco che allora si scopre un “altro” Novecento, che non ripudia la tonalità, che rivisita con coraggio, ironia e anche forse un pizzico di cinismo il repertorio del passato, aprendosi però a una pluralità di linguaggi e di esperienze artistiche: opera, cinema, musical … e del resto, quanti compositori  anche sommi del passato non disdegnarono affatto “prestiti” da generi più popolari? Ecco allora che Nino Rota non è più  solo l’autore delle musiche che accompagnano La dolce vita o Prova d’orchestra, o quelle di due film entrati nell’immaginario collettivo come ll Gattopardo e il Padrino. Del resto, a vedere il suo curriculum, Rota appare prima di tutto come musicista “classico”: nato nel dicembre 1911, ad appena 15 anni, nel 1926, scrive l’operina Il principe porcaro,  ispirata a una fiaba di Andersen; un lavoro che, soprattutto per l’età del compositore,  è ritenuto già degno di nota.  Di questo compositore colto, complesso, affascinante, il teatro del maggio Musicale fiorentino propone, al Teatro Comunale,  l’opera più celebre, Il cappello di paglia di Firenze, in scena da oggi, martedì 3 dicembre, sino a martedì prossimo (10 dicembre) per un totale di sei rappresentazioni.

 Il catalogo di musica “colta” di Rota si avvicina ai centonovanta numeri,  contro i circa centosessanta delle musiche da film: composizioni da camera, sinfonie, concerti, balletti, opere teatrali e musica sacra.  Un compositore insomma “di tutto rispetto” per cui la musica da film è stato solo un settore certo importante  ma non unico. Se lui stesso si definiva con autoironia un “cinematografaro”, non tardò presto ad affiorare e ad imporsi il pregiudizio di compositore “da film” prestato al palcoscenico.  Peccato che questo compositore “prestato” fosse molto più capace di convincere e entusiasmare il pubblico di tanti “geni incompresi” che negli stessi anni incantavano solo quattro gatti  con astrusità più o meno sonore, ma comunque “alla moda”.  Nel 1955, poco dopo la prima esecuzione del Cappello, Fedele d’Amico se ne usciva fuori con un giudizio un po’ “ambiguo”; se da un lato lamentava che l’uscita dell’opera non avesse avviato una discussione sul fenomeno Rota, concludeva che  questi costituiva: “ l’indovinello di un musicista nato, evidentemente dotato di grazia e di fantasia autentiche, eppure legato a un linguaggio, almeno apparentemente, anacronistico, a un tonalismo stranamente ignaro di incidenti e di crisi, orecchiabile fino allo scandalo. “   Invece Giorgio Pestelli, recensendo una ripresa del Cappello avvenuta a Treviso nel 1984, notava con minor pregiudizio:

“ Sommo compositore cinematografico, Rota operista è stato un po’ castigato negli anni sacri all’impegno  come musicista facile e (orrore!) piacevole; oggi che l’aria è cambiata si offre l’opportunità di rimettere in circolo i suoi lavori.”

Nel 1984, il compositore era scomparso da cinque anni, ma i frutti di quel “cambiamento” cominciano, e solo in parte, a vedersi soltanto oggi, anche se il suo capolavoro operistico è riuscito a tenere duro sui palcoscenici e anche altre composizioni sono state eseguite con sempre maggior frequenza.

Non si vuole con questo certo demonizzare, con una semplificazione che sarebbe quantomeno puerile, tutto il patrimonio di avventure e sperimentazioni che ha caratterizzato il XX secolo ed è tuttora in atto; ma semplicemente ironizzare sul crimine di … conservata o restaurata tonalità, che ha portato se mai alla demonizzazione di chiunque, Rota compreso, non si adeguasse a certi linguaggi e sperimentazioni.

Il pubblico del Maggio potrà dunque apprezzare e godere un’opera scintillante, sfarzosa in un allestimento scenico tra il liberty e la belle epoque, che presenta una musica vivace, melodiosa e coinvolgente, con quindici “indiavolati” personaggi in scena in una gag dietro l’altra;  ma all’orecchio attento la musica appare tutt’altro che superficiale o priva di riferimenti con la realtà del suo tempo e non solo: Rossini, presente in un certo senso come “nume tutelare” nel modo di tradurre in note l’andamento indiavolato e assurdo dell’azione, ma anche Puccini, Ravel, Stravinsky e – perché no –  altri “linguaggi” come quello del musical.  Ma come sempre nei lavori di alto livello (si vuole, a costo di scandalizzare qualcuno, dire “di genio”?) citazioni e riferimenti sono solo tessere di un mosaico in cui l’unica mano che conta è quella del suo creatore.

L’opera nacque in una vera e propria gestazione … familiare: il libretto fu infatti scritto dal compositore e dalla madre, la pianista Ernesta Rinaldi, tratto dal vaudeville Un chapeau de paille d'Italie scritta da Eugène Labiche e Marc Michel nel 1851. Scritta nel 1945 quasi per divertimento personale, fu  rappresentata dieci anni dopo per interessamento del direttore del teatro Massimo di Palermo, Simone Cuccia (che praticamente “costrinse” il compositore a terminarla). Fu un successo clamoroso  e l’opera da allora è stata rappresentata un po’ ovunque in Italia e all’estero, anche in edizioni memorabili; e memorabile è stata senz’altro anche quella del Maggio Musicale Fiorentino di due anni fa (in occasione del centenario della nascita del compositore), firmata da Andrea Cigni, con le scene e i costumi di Lorenzo Cotùli, che viene ripresa oggi.  

Fra i gli interpreti principali:  nel ruolo di Fadinard  si alternano Filippo Adami e Enea Scala ; di Nonancourt  Gianluca Buratto, e Salvatore Salvaggio;  di Beaupertuis Mauro Bonfanti e Filippo Fontana;  di Elena  Laura Giordano e Sandra Pastrana. Il primo cast recita il 3 e 5, dicembre ore 19,45, il 7 ore 14,45; il secondo il 4, 6, 10 ore 19,45.

Sul podio il giovane e celebre direttore Andrea Battistoni, che ha definito quest’opera  “una produzione di grande pregio e intelligenza, in cui si ha modo di riscoprire il genio di Nino Rota, autore classico e non solo di colonne sonore di felliniana memoria, esponente di uno stile musicale che venne considerato anacronistico all’epoca, con radici nella cantabilità e tradizione melodica italiana, come il contemporaneo Gian Carlo Menotti”.   

Decisamente da non perdere.

Riassunto della trama:[1]

Atto primo . Dopo l’ouverture, la scena si apre sul racconto di Fadinard, nel giorno delle sue nozze, allo zio sordo: mentre era a spasso in calesse, il suo cavallo ha mangiato il cappello di paglia di Firenze di una signora. Costei, Anaide, arriva poco dopo col suo amante Emilio a reclamare un cappello uguale: senza non può tornare al suo gelosissimo marito.

Atto secondo . Fadinard, per evitare scandali, si mette alla ricerca di un cappello identico: va dalla modista, che lo indirizza dalla baronessa di Champigny. La baronessa attende degli invitati, insieme ai quali deve ascoltare il violinista Minardi, e scambia Fadinard per il musicista. Mentre gli invitati alle nozze seguono Fadinard e mangiano al buffet della baronessa, la confusione aumenta con l’arrivo di Minardi. Fadinard spiega il suo problema, ma la baronessa ha dato il cappello alla nipote: la signora Beaupertuis.

Atto terzo . Beaupertuis si insospettisce per l’assenza della moglie; intanto arriva Fadinard a chiedere il cappello (sempre seguito dal suocero e dagli invitati, alticci). Nella confusione Fadinard capisce l’inghippo (Anaide è la moglie di Beaupertuis), mentre il suocero minaccia di mandare a monte le nozze.

Atto quarto . Quando tutto sembra perduto, lo zio sordo presenta il suo regalo per gli sposi: un cappello di paglia di Firenze. Anaide riesce così a ripresentarsi al marito e Fadinard può sposare la sua Elena.



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