I linguaggi della politica

Altroché Grillo. L’efficacia linguistica del turpiloquio della Lega Nord

Un esempio del nuovo corso comunicativo è reso dalla formula “Roma ladrona”, declinato da Luigi Negri...

di Ivan Buttignon

Altroché Grillo. L’efficacia linguistica del turpiloquio della Lega Nord

Già nel corso degli anni Ottanta, e con maggior seguito dai fatti di Tangentopoli, la Lega ha riscritto le regole della comunicazione politica in Italia. Il celodurismo, che connota una specificità “virile” della Lega e quindi l’avere più “attributi” degli altri, ha preso così il posto del politichese. Rappresenta, in sostanza, il linguaggio dell’insubordinazione e della dissacrazione. La Lega nasce tra la gente, ne manifesta i malumori, le recriminazioni, le richieste. E lo fa in modo chiaro e inequivocabile. Il discorso politico della Lega si fondava sulla critica ai partiti tradizionali, la cui dissacrazione doveva essere chiara già nel linguaggio usato. In questo senso, l’uso di mezzi plebei e di messaggi essenziali ha rappresentato il termine di distinzione tra il linguaggio politico tradizionale e il “nuovo corso leghista”. L’antipolitichese di Umberto Bossi è chiaro nelle sue “sparate”, tipo quella del 1996 in cui spiegava senza troppo garbo: “[...] la gente ne ha pieni i coglioni di essere ingannata con le solite duecento parole che fanno il linguaggio politico”. In altre parole, Bossi, “politico da marciapiede” come definiva se stesso e gli altri leghisti, rifiuta tassativamente di misurarsi con il codice linguistico ufficiale e lo rifiuta in toto[1].

Un esempio del nuovo corso comunicativo è reso dalla formula “Roma ladrona”, declinato da Luigi Negri, consigliere regionale lombardo, che nel 1995 lascerà il partito in polemica con il cosiddetto ribaltone.

Ancora più interessante in questo senso è il discorso di Bossi a Ponte di Legno il 16 febbraio 1997: “Amici miei, moltissimi anni fa noi abbiamo dato un appuntamento al destino ed ora è suonata l’ora di tener fede alla nostra promessa. Il momento è giunto, il momento che di rado la storia concede, quello in cui un popolo esce dal passato per fare il suo ingresso nel futuro, in cui un’epoca si conclude e l’anima di una nazione a lungo soffocata ritrova la capacità di esprimersi. Noi siamo l’espressione di un’anima, dell’anima padana che ricomincia a parlare dopo 140 anni di soffocamento unitaristico italiano. Quindi è con grande gioia che noi oggi potremmo dire di essere tutt’uno sotto le stelle [...] la racconteremo agli amici, ai figli, ai nipoti [...] ‘Eravamo a Milano quel giorno’. E c’erano a Milano con noi, c’erano i nostri figli più giovani, quelli che chiamano camicie verdi a dare il segnale. Loro non sono diversi, sono noi, sono la Padania, sono un popolo che si alza in piedi. Diremo allora che eravamo qui a Milano quando la Lega decise, rinnovando il mandato al suo Segretario, al vecchio Segretario Federale Umberto Bossi, di sostenere con la massima determinazione la scelta del Governo Provvisorio della Padania, di impegnarci nell’organizzazione del Referendum per l’autodeterminazione della Padania”

Gli aspetti più importanti del discorso sono:

1.         l’uso massiccio, come nessun altro prima di Umberto Bossi aveva proposto, di espressioni di identità condivisa (Ethos) come “Noi siamo l’espressione di un’anima”, “noi oggi potremmo dire di essere un tutt’uno sotto le stelle”, “Loro non sono diversi, sono noi, sono la Padania, sono un popolo che si alza in piedi”;

2.         la semplificazione del linguaggio, che rappresenta l’elemento di maggiore rottura con il passato. È una semplificazione prima di tutto sintattica (che tende a diminuire il numero di periodi secondari o di incisi), poi lessicale (nella scelta di vocaboli si prediligono quelli di uso comune), ma anche stilistica (il tipo e il numero di artifici retorici si riducono, così come si diradano le citazioni colte e le locuzioni latine), tematica (emerge chiaramente una rivendicazione identitaria, che diventa il concetto propositivo principale di questo intervento di Bossi). Anche le espressioni dialettali, espressamente lombarde, che sostituiscono il latino delle citazioni dotte e il turpiloquio, vale a dire l’uso di un linguaggio crudo e privo di inibizioni consente di risvegliare potenti emozioni, possono essere considerate formule semplificatorie del linguaggio;

3.         l’uso di metafore e simboli. Bossi usa le metafore principalmente come strumento per consolidare l’identità del suo gruppo, mentre i simboli (ri)costruiscono uno scenario mitico, leggendario, ma riproposto in chiave moderna e reale. A partire dal primo nome del movimento, Lega Lombarda, che crea un parallelo tra la situazione odierna e l’Italia dei Comuni che in età medievale si coalizzarono contro il medesimo nemico; lo stesso simbolo del partito, Alberto da Giussano, rappresenta il cavaliere (reale o solo letterario?) che si distinse nella battaglia di Legnano (1176), cruciale nella guerra che vedeva contrapporsi il Sacro Romano Impero da un lato e i Comuni dell’Italia settentrionale, uniti nella Lega Lombarda, dall’altro; per non parlare di Pontida, luogo in cui, nel 1167, i Comuni lombardi avrebbero sancito la loro unione contro il Sacro Romano Impero; o l’ampolla dell’acqua del Po, eccetera;

4.         l’insistenza del linguaggio emotivo: la metafora fallica dello slogan “la Lega ce l’ha duro” simboleggia tenacia, resistenza, potenza. Tutto sommato rappresenta una promessa agli elettori, una garanzia: noi siamo questo, parliamo così, siamo dei duri, non molliamo mai;

5.         la contrapposizione: ricorre spesso nel discorso tipico leghista una netta distinzione tra “noi” e “loro” (nella psicologia sociale si parla di “ingroup” e “outgroup”). Coloro che appartengono alla categoria dei “noi” sono depositari di virtù e qualità positive, mentre “loro” sono immancabilmente vili e meschini: noi colonia sfruttata, loro colonizzatori sfruttatori; noi lavoratori onesti, loro fannulloni corrotti; noi nuovo, loro vecchio; noi federalisti, loro statalisti; noi sanguigni e ruspanti, loro raffinati intellettualoidi classisti; noi società civile, loro mafia; noi gente, loro poteri forti.

Insomma, tra espressioni crude, la denigrazione dell’avversario, le 5 stelle e la V di Vendetta, il movimento di Grillo non ha inventato nulla di nuovo in termini di linguaggio e anzi, a voler essere precisi, l’efficacia rispetto a quello introdotto dalla Lega Nord è poca cosa.



[1] I. Pivetti, A. Roberti, Dal celodurismo a Yes we can passando per il vaffa... e la rottamazione. Le parole della politica e l’intelligenza linguistica, Prefazione di Clemente Mimun e postfazione di Alessio Vinci, Alessio Roberti Editore, Urgnano, 2012, pp. 53-55.

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