Missione Italiana

In Afghanistan siamo più utili degli americani

L'economia da contingente fa la differenza fra sopravvivenza e povertà assoluta

di Steve Remington

In Afghanistan siamo più utili degli americani

Una giornata di pioggia è una giornata uggiosa in qualunque parte del mondo ti trovi.

Ma qui, ad Herat, casella di partenza del gioco dell’oca dei militari italiani impegnati nella missione Isaf, missione di pace in un contesto di guerra, è un po’ più uggiosa del solito.

Restare bloccati all’interno della base del contingente è un po’ come essere dentro un acquario. Protetto, coccolato, quasi sterilizzato, ma del tutto fuori dal mondo.

Un mondo, quello afghano, fatto di contraddizioni, di colori accesi e sapori forti, dei quali sino ad ora, abbiamo percepito soltanto vaghe tracce, confuse nei ragionamenti di chi è in Afghanistan da mesi, e da mesi è calato in questo contesto, che non è facile da afferrare.

L’Afghanistan, infatti, è una terra mosaico, composta da enclave sociali, da clan famigliari, da insorgenti e bande di trafficanti di droga. Un mix esplosivo, per certi aspetti, nei confronti del quale la missione Isaf svolge la funzione di disinnesco, di deterrente a rilascio controllato. Un rilascio che dovrebbe finire, ma solo sulla carta nel 2014.

E dopo che succederà?

La cerimonia del cambio di contingente, è partita la Sassari ed è arrivata la Garibaldi, alla presenza del ministro Giampaolo di Paola, del capo di stato maggiore della Difesa, Biagio Abrate, del comandante del contingente americano e delle autorità locali, più che a far versare qualche lacrima di commozione, normale in questi casi, è servita a tastare il polso della situazione.

Gli afghani schierati con l’Isaf temono la partenza dei militari della coalizione per due ragioni fondamentali. La presenza delle divise ha creato un’economia di supporto.

C’è chi vende prodotti alimentari, chi lavora in base, chi fa l’interprete e via di questo passo. Un po’ come nel dopoguerra da noi con l’arrivo degli americani. Niente di nuovo sotto il sole, a qualunque latitudine.

Ma qui l’economia da contingente può fare la differenza fra povertà assoluta e sopravvivenza decente. Ecco perché i funzionari della Farnesina parlano di sindrome da abbandono.

Difficile dunque, non dar ragione a chi paventa una vera e propria implosione del paese quando i militari della coalizione se ne andranno. Soprattutto gli italiani capaci di attuare la strategia del bastone e della carota.

E poi c’è il tema della ricostruzione. Le opere sono in corso, ma con essa è esplosa anche la corruzione, sempre più dilagante. Che fa comodo a tutti, nonostante la forza delle armi laddove è l’unica lingua conosciuta dagli insorgenti, in tutte le loro declinazioni. Il dialogo e la cooperazione dove le armi sono silenti ma presenti.

Ma il vero problema a questo punto del percorso, è l’implicazione culturale della missione. Davvero esiste un paese che vuole diventare tale, oppure la forza della frammentazione è superiore al concetto di unità? Questo è il nodo da sciogliere. E questo nodo, per esempio, rischia di strozzare gli americani, avendo la ristretta visione del mondo afghano. Per loro contano le armi e la forza. Per noi conta la forza della ragione.

E sorprende allora, se il comandante americano, John Allen, fa i complimenti al generale Luciano Portolano dicendogli che è “più cazzuto dei suoi marines”. O siamo andati avanti noi, oppure gli americani sono rimasti indietro. Comunque la si voglia vedere, resta il problema di un paese ancora da decifrare e che tutti, russi compresi, hanno pensato solo di poter domare. 

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da Loredana il 01/04/2012 14:39:46

    Vorrei leggere altri articoli come questo. Dev'essere un compito talmente difficile e delicato lavorare per la pace avendo una divisa e un addestramento militari addosso, in un paese lontanissimo per geografia e cultura. Ma se noi italiani riusciamo a essere "più cazzuti dei marines" americani, che non sono propriamente violette delicate, significa che riusciamo a creare valore, quando ci mettiamo in testa di farlo. Finalmente! Non siamo solo capitani che abbandonano la nave...

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