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Mehta, Maggio, Mozart, un trinomio vincente: un Così fan tutte all'insegna della grazia e della galanteria, scenica e musicale.

La terza opera della trilogia dapontiana, con la regia di Sven-Eric Bechtolf , disponibile sulla piattaforma ITsART

di Domenico Del Nero

Mehta, Maggio, Mozart, un trinomio vincente: un Così fan tutte all'insegna della grazia e della galanteria, scenica e musicale.

Un gioco malizioso all’insegna della levitas, dell’arguzia e della leggerezza: decisamente quel che ci vuole di questi tempi. E così, dopo il ghigno cupo del Rigoletto con la regia di Livermore, ecco la grazia mozartiana di un Così fan tutte per la regia di Sven-Eric Bechtolfe la bacchetta di Zubin Mehta, nuova produzione del teatro del Maggio Musicale registrata il 28 marzo scorso e ora disponibile sulla piattaforma ITsART

Si tratta dell’ultima opera della celebre “trilogia” scritta dall’abate libertino Lorenzo da Ponte (1749 -1838), dopo le Nozze di Figaro e il Don Giovanni, rappresentata per la prima volta nel gennaio 1790. La vicenda dei due giovani innamorati pronti a giurare sulla fedeltà delle loro donne, sfidati al cimento dal cinico e disincantato filosofo Don Alfonso, per il quale “è la fede delle femine, come l’Araba Fenice; che ci sia ciascun lo dice, ove sia nessun lo sa” pare sia accaduta davvero a Trieste e suggerita al librettista dall’imperatore Giuseppe II. Caso abbastanza raro, avrebbe dunque preso spunto da un fatto realmente accaduto, anche se certo richiami e rimandi letterari non mancano nel libretto abilmente intessuto dal da Ponte, geniale autore dei testi della celebre trilogia mozartiana: almeno da Boccaccio a Goldoni, con richiami forse anche a Cervantes e Shakespeare.  Avrebbe dovuto servire da scherzoso ammonimento agli innamorati, come recita il sottotitolo “la scuola degli amanti”; e questo fine per così dire, “pedagogico”, che rientra perfettamente nella mentalità illuministica, ha rappresentato per parte della critica – soprattutto romantica – un limite dell’opera. È stata sovente sottolineata la componente razionale, lucida ma anche fredda, dell’impostazione librettistica, il gioco delle simmetrie compiaciute e dei parallelismi divertiti che quasi a ritmo di danza scompone e ricompone le due coppie di innamorati, sino alla finale ricomposizione del “lieto” (ma è davvero tale?) finale.  C’è chi addirittura ha voluto vedere, sotto il tono un po’ burlesco e alquanto galante, una metafora del processo conoscitivo o più in generale, del modo in cui l’illuminismo si dispone verso la realtà.

Ma c’anche una interpretazione del tutto diversa: già il romantico E.T.A. Hoffmann (tenebroso narratore ma anche compositore) definiva Così fan tutte l’espressione della più divertente ironia. Il modo stesso in cui è congegnata la vicenda, l’ambientazione a Napoli patria dell’opera buffa e città simbolo dell’immaginario culturale europeo, soprattutto nella seconda metà del Settecento; lo scarso o nullo spessore psicologico dei personaggi, la “recita” allestita da Ferrando con la complicità di Despina che rimanda a una dimensione metateatrale, etc.

 Le strutture musicali sembrano distendersi in un  gioco di luminose simmetrie (si vedano ad esempio i duetti, che sono sei, ovvero esattamente la metà delle arie: due affidati alle due donne, due ai due uomini e due infine a ciascuna coppia di “nuovi” amanti, sigillo della resa delle due “fedelissime” ai nuovi corteggiatori)  Mozart “ da altezze immense guarda alle miserie della commedia umana, dandoci davvero il senso di quel vuoto che fa male, di quel rimpianto che non viene mai appagato; “  ed è quanto meno significativo che sia proprio Don Alfonso  a dichiarare in un terzetto “o pazzo desire, Cercar di scoprire quel mal che trovato meschini ci fa.”[ii] La brillante trovata di travestirsi da ufficiali albanesi, con una scena che rientra così nel tipico gusto esotico settecentesco delle turcherie,   per corteggiare, ovviamente a parti invertite, le proprie fidanzate dovrebbe in teoria “disingannare i sensi e vedere la realtà alla luce della ragione e non dei pregiudizi  (….) abbandonare il vuoto formalismo dei sospiri,  delle smancerie, delle convenzioni sociali per raggiungere la maturità e la pienezza di una vera vita del sentimento”[iii]… eppure, alla fine, questa ricerca rischia di precipitare i due giovani nelle tenebre dell’angoscia e sembra ipotizzare quel dualismo insanabile cuore- ragione che sarà la cifra del preromanticismo e del romanticismo: la “moralina” della favola che chiude l’opera non è affatto rassicurante da questo punto di vista; e questo è proprio uno dei punti di forza di un’opera a lungo ingiustamente sottovalutata.

Il gioco di specchi e di inganni sono abilmente sottolineati nella deliziosa regia di Bechtof ; una lettura che qualcuno definirà forse storcendo il naso “tradizionale” perché se oggi non si “attualizza” e al posto delle trine settecentesche non si mette plastica o polistirolo non si è a la page.  Del resto qualche “toccata” di contemporaneità non manca: la scena  è racchiusa in una sorta di cilindro di legno, vi sono macchine come lanterne magiche o rudimentali proiettori (soprattutto durante l’esecuzione della ouverture) e soprattutto bellissime proiezioni video di Josh Higgason,  da un vascello in arrivo nel porto di Napoli, immagini floreali o tavole enciclopediche del secolo dei lumi.  Per il resto però, sia le scene di Julian Crouch che gli eleganti costumi settecenteschi di Kevin Pollardevocano situazioni e atmosfere del secolo dei lumi e dei libertini, con qualche allusione, durante la festa nuziale del secondo atto, al flauto magico grazie ai travestimenti “fatati” di alcuni figuranti.  Una regia gradevole e seducente, perfettamente intonata alla bacchetta di un Zubin Mehta in forma smagliante, che ha evocato tutta la grazia della partitura mozartiana; una lettura brillante e scattante, con tempi ora veloci ora sapientemente languidi e travolgenti nelle scene d’insieme. Una direzione dunque di grande livello, assecondata da un cast di canto decisamente all’altezza, malgrado qualche raro momento di sfasatura tra buca e solisti.  Il soprano  Valentina Naforniţa è una Fiordiligi brillante sul piano scenico e discreto su quello vocale; la mezzosoprano Vasilisa Berzhanskaya si rivela una Dorabella chiara e convincente sul piano vocale, anche se forse non sufficientemente “pepata” per il ruolo in questione, ma comunque ottima cantante e discreta interprete. Meno convincente invece il tenore Matthew Swensen (Ferrando): voce un po’ piccola e tendente a scomparire nei pezzi d’insieme, anche se ne nel complesso gradevole. Ottimo sia vocalmente che scenicamente il Guglielmo del baritono Mattia Olivieri, con un bel  imbro  brunito e una buona estensione vocale. Particolare menzione d’onore, in un contesto già di notevole livello, per la Despina di Benedetta Torre, spiritosa e spigliata nel suo ruolo di “regista occulta” dei vari intrighi e dotata di voce sicura e squillante. Molto apprezzabile anche il Don Alfonso di Thomas Hampson, interprete mozartiano (e non solo) di grande livello.

LA TRAMA DELL’OPERA

Atto I

A Napoli, in una bottega di caffè, l’anziano filosofo don Alfonso scommette con gli scettici ufficiali Ferrando e Guglielmo di riuscire a dimostrare l’infedeltà delle loro rispettive fidanzate, le sorelle Fiordiligi e Dorabella. Queste, raggiunte in giardino dal filosofo, vengono informate di un’imprevista chiamata al fronte dei due innamorati. Dopo un ultimo saluto agli ufficiali, le ragazze sono consolate, nei loro appartamenti, dalla cameriera Despina; a questa Don Alfonso offre una ricompensa in cambio dell’aiuto nel mettere in buona luce con le padrone due suoi misteriosi amici. Gli uomini, che altri non sono che Ferrando e Guglielmo mascherati da nobili albanesi, dopo infruttuosi approcci che scandalizzano le due sorelle, provano a impietosirle fingendo di avvelenarsi. Il piano sembra funzionare e i finti moribondi vengono salvati dall’arrivo di Despina travestita da medico.

Atto  II


Dopo nuovi incitamenti da parte della cameriera, le sorelle decidono di lasciarsi corteggiare dai due forestieri, scegliendo un cavaliere a testa. Durante una festa in riva al mare le due nuove coppie si appartano: Dorabella accetta un pendente a forma di cuore da Guglielmo in cambio di quello con il ritratto di Ferrando; Fiordiligi invece, nonostante appaia molto turbata, rifiuta le profferte di Ferrando. La felicità di quest’ultimo, soddisfatto dell’atteggiamento virtuoso della donna, viene però interrotta da Guglielmo, che gli mostra il ritratto ottenuto da Dorabella. Fiordiligi nelle sue stanze indossa un’uniforme per raggiungere l’amato nell’esercito quando, ancora una volta di fronte alle lusinghe di Ferrando, cede. Si possono ora celebrare le doppie nozze, siglate da Despina travestita da notaio. Ma un rullo di tamburi che annuncia il ritorno dei soldati interrompe la cerimonia. Ferrando e Guglielmo rivelano alle attonite donne la loro reale identità e il doppio matrimonio può finalmente compiersi per davvero.

 

[i]Fonte: http://www.operadifirenze.it/events/cosi-fan-tutte/#  

[ii]Francesco DEGRADA, “Splendori e miserie della Ragione”, in Così Fan tutte, 54° Maggio Musicale Fiorentino, Firenze, 1991, pp. 103 – 125, p. 122-123.

[iii]IBIDEM, pp. 123- 124. 

 

 

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