Mistero Buffo 2.0

La politica non si addice più al teatro

Paolo Rossi si misura con Dario Fo, ma qualcosa non torna

di Steve Remington

La politica non si addice più al teatro

Giullare lo è anche lui. Anzi, saltimbanco è la definizione migliore, vero abito lessicale da cucire addosso a Paolo Rossi, attor comico del teatro italiano fra i più versatili, senza essere una star. E proprio perché il meccanismo dello star system non lo ha ancora ruminato, oppure è stato lui a sputar  fuori il rospo, la prova con il Mistero Buffo di Dario Fo appare quanto mai in linea con il suo percorso professionale. Certo, essendo fra coloro che hanno visto l’originale messo in scena dal Premio Nobel (ma a Stoccolma non si saranno pentiti di averglielo dato?), il confronto è inevitabile. E da questa ineluttabilità salta fuori un gioco di specchi tutto temporale, più che sostanziale. Dario Fo allora, a cavallo fra l’inizio degli anni settanta e primi ottanta, stagione difficile,  ma ricca di fermenti,  aveva l’urgenza di portare in scena qualcosa che rompesse gli schemi, che frantumasse le paludate sovrastrutture del teatro  in senso lato. Fo, mettendo al centro lo spettatore e non lo spettacolo, altro non faceva che realizzare un prodotto pedagogico, elementare nella sua essenza, ma aristocratico nel fine: educare le masse.

Ecco,questo tratto dal lavoro di Dario Fo rende quel Mistero Buffo figlio del suo tempo, inserito dentro una cornice per certi versi irripetibile. Paolo Rossi, consapevole di questo rischio, propone un “suo” Mistero Buffo, a cui fa compiere un doveroso  salto temporale,  offrendo allo spettatore di oggi un prodotto molto più vicino al cabaret che al teatro fisico,quasi dinamico di Dario Fo.

Del resto il pubblico di oggi questo vuole, la battuta su Berlusconi, il bunga bunga e le veline, con innesti quotidiani. Certo, poi c’è anche il Mistero Buffo con le domande su Gesù Cristo. Che farebbe se tornasse oggi? Chi sarebbe? Cosa potrebbe fare? Saremmo in grado di riconoscerlo e seguire la sua rivoluzione, i suoi dogmi, i suoi miracoli? In questa versione pop 2.0 anche Gesù diventa pop. Per necessità più che per convinzione. «I misteri non finiscono mai: il maestro Dario Fo non ha finito di raccoglierli e in ogni angolo della strada troviamo nuove storie che diventano parte del nostro mistero e si integrano con l’originale, lo arricchiscono, lo trasformano», spiega lo stesso Paolo Rossi, «come è successo nel 1969, anche il nostro Mistero Buffoè un’ operazione politica: come 40 anni fa, la nostra è ancora un’epoca in cui difendere dei valori significa difendere la sopravvivenza. Ma è anche un’operazione culturale, perché vuole recuperare insieme al pubblico le radici profonde del teatro popolare».

L’attore, in parte, ha ragione. Ma solo in parte.  Se la gente ride di Berlusconi non lo fa perché decifra l’operazione culturale di questo Mistero Buffo, altrimenti Zelig dovremmo metterlo sullo stesso piano, lo fa perché avverte l’urgenza di spezzare la tensione del presente. Questo, semmai, rende lo spettacolo un’operazione politica, questo sì. Ma l’epoca in cui il teatro produceva voti, forse è davvero finita. Oggi il teatro deve fare il Teatro. E non la macchietta di se stesso.

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